Regia di Joe D'Amato vedi scheda film
Alessio è un ragazzo di famiglia benestante che ha subito un grave trauma. Il padre, con cui non ha un buon rapporto, è un donnaiolo impenitente e Alessio fantastica di accoppiarsi con varie donne, fra cui la zia e la matrigna.
Joe D’Amato gioca a fare il Tinto Brass e gli riesce anche bene (forse pure meglio, per gusto estetico, del collega), non che sia d’altronde una missione tanto ardua a realizzarsi: Lussuria è una pretestuosa storiella di borghesi perversi e di famiglie immorali ambientata in epoca fascista. Il fascismo è in tutto ciò fondamentale, non è solo una contestualizzazione come un’altra: serve a far credere allo spettatore che sadismo, incesto e brutale maschilismo – per dire tre delle principali componenti della sceneggiatura di Renè Rivet – siano legati esclusivamente a quel ripugante periodo storico e non siano invece parte integrante della cultura del Belpaese, come è naturale che sia. Al di là di queste spicciole considerazioni, la trama della pellicola si snoda tutta quanta nei primi minuti, per lasciare poi spazio a una salva di accoppiamenti (anche saffici), con buona predilezione per le fellatio; ma in scena nulla si vede e tutto si immagina, in quanto a organi sessuali, anche se va sottolineato che l’occhio di Massaccesi/D’Amato è notoriamente capace di scelte felici o quantomeno ben evocative, in grado di lasciare alla fantasia del pubblico le mancanti parti hard. Nel cast compaiono Lilli Carati e Al Cliver, il budget non è neppure ridottissimo; D’Amato ha girato ben di peggio, sebbene ciò non giustifichi in sé lo scarso valore artistico di Lussuria. 1,5/10.
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