Regia di Carlos Vermut vedi scheda film
LA NINA DE FUEGO (un titolo tutto francese, nonostante suoni spagnoleggiante, visto che quello internazionale, oltreché originale, suona invero decisamente più opaco come "Magical girl"), è una produzione spagnola che ha entusiasmato Almodovar, e che ha regalato (meritatamente) un premio Goya (Il David o il Cesar o ancora l'Oscar spagnolo) alla sua potente e risoluta (oltre che pazza da legare) protagonista Barbara Lennie, bella e pericolosa come si conviene ad una dark lady tosta, personaggio il suo che ci ricorda certi altri divenuti leggenda, resi magistralmente da dive anni '40 o '50, ma anche quello splendido uscito a fine Ottanta dalla conturbante Theresa Russel ne "La vedova nera", sotto la regia del grande Bob Rafelson.
Innanzi tutto, guardate qui sotto (e confrontatelo con quello sopra) quanto è più bello ed intrigante il manifesto uscito sul mercato francese, così retrò, così da B movie!
Una donna instabile mentalmente, ma molto attraente, finita in sposa al medico che l’ha curata per anni, viene posta al centro di una intricata macchinazione: un ricatto da parte di un individuo incontrato per caso, che porta la donna ad accettare di entrare a far parte di un circolo vizioso e difficile da abbandonare, un ritorno di fiamma di un uomo che, suo malgrado, deve uscire di galera ma non vuole per paura di incontrare la donna, da sempre la causa della sua rovina.
Finirà nel sangue, con una violenza assassina che non ci si aspetta dopo le lunghe attese meditative a cui la vicenda ci ha abituato per quasi ¾ della storia.
Ottime atmosfere per un film che punta tutto sul non detto e gioca con lo spettatore come il gatto con il topo: sadicamente, calcando la mano sulle situazioni torbide e sul personaggio della femme fatale, autodistruttiva e micidiale, una vedova nera che si mangia gli uomini con cui si accoppia.
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