Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Il mondo delle ombre è il dominio delle presenze incorporee che assediano la mente; è la parte viva dell’ignoto, di cui fa parte anche la morte. È la dimensione trascendente in cui restano confinate le idee, i princìpi, le credenze, le manie e le ossessioni, ossia le nostre personali guide spirituali, di cui possiamo “vedere” i tratti essenziali e “sentire” le voci, ma di cui non possiamo verificare, con il tatto, l’oggettiva consistenza. Non potendole toccare, non siamo neanche in grado di valutarne l’effettiva distanza, spaziale e temporale, dalla nostra realtà tangibile, né misurare la vera entità del potere che su di noi esercitano. Per questo siamo inermi, di fronte alla loro ineffabilità, che ci coglie di sorpresa e in un lampo ci fa suoi. Più siamo sensibili e curiosi, più siamo esposti al loro seducente influsso, che ci parla sia con la confortante sicurezza del predicatore, sia con la convincente dialettica dello scienziato. Il medico-vampiro di questo film è, come certi guru o ciarlatani (o, astrattamente, come certe filosofie antropofaghe o religioni autolesioniste) colui che, col pretesto di curarci l’anima o il corpo, mira ad impadronirsene per i propri scopi. Il suo agire è discreto e delicato, e ci annienta dolcemente, come un lento salasso di forza vitale, o come il carezzevole languore che Dreyer spalma, con mano fredda ed esangue, su questa tenebrosa favola dal macabro romanticismo.
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