Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Dreyer ha realizzato, secondo me, almeno tre capolavori del cinema: "Dies Irae" (1943), "Ordet" (1955) e, prima ancora, questo "Vampyr". Un altro capolavoro è considerato "La passione di Giovanna d'Arco" (1928) con l'intensa Renée Falconetti, ma a me è piaciuto meno, così come il pur ottimo "Gertrud" (1964), suo ultimo film. "Il vampiro" mi ha entusiasmato, nonostante la mia proverbiale idiosincrasia per i film di vampiri. Qui si prescinde dall'iconografia vampiresca ormai consacrata con il "Dracula" (1931) di Tod Browning con l'impomatatissimo Bela Lugosi e anche dal "Nosferatu" calvo di Murnau (1922) e perfino dalla trama che, in quanto a storie di vampiri, è abbastanza lineare (tratta da una storia dell'ottimo scrittore irlandese Sheridan Le Fanu, l'autore di "Carmilla"). Non è che succeda quel granché: giunto in un villaggio della Francia con un retino per farfalle che lo fa sembrare la Vispa Teresa, lo studioso Allan Grey (interpretato da un barone che recita sotto pseudonimo) alloggia in una pensione e una notte, mentre sta dormendo, riceve la visita di un signore che gli lascia una busta da aprire soltanto dopo la sua morte. Allan lo segue fino a casa, dove il misterioso personaggio vive con due figlie e qualche servitore. Lo studioso scopre che una delle figlie è stata morsa da un vampiro. Più che nella trama, il valore del film di Dreyer risiede nelle atmosfere d'inquietudine che sa creare con procedimenti che derivano dal cinema espressionista tedesco degli anni venti, padroneggiati con una maestria che lascia stupefatti: pochissimo parlato ("Vampyr" era stato concepito come un film muto, e solo successivamente è stato doppiato), recitato dal protagonista come se fosse in perenne stato di sonnambulismo, con personaggi misteriosi ed essi stessi inquietanti, come il medico di campagna che aiuta la vecchia vampira. E poi c'è l'effetto di disagio creato da procedimenti che solo un maestro del cinema (anche tecnicamente parlando) poteva riuscire ad esprimere, come il mostrare un'ombra che si stacca e si muove indipendentemente dalla persona che la proietta, o il protagonista che esce dal proprio corpo e vede una bara con il proprio cadavere, e la susseguente soggettiva del proprio funerale, l'alternanza tra il retino e la falce fienaia del contadino, la ragazza ammanettata.... Giudizio in sintesi: capolavoro.
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