Regia di Brian Horiuchi vedi scheda film
Nelle sue innumerevoli spoglie, giustificate o opinabili che siano, la paura sta prendendo piede. Di pari passo, la ragione, a ogni livello, soprattutto nei quadri decisionali, è messa in discussione e per riporre (almeno un minimo di) fiducia nel futuro non rimane che affidarsi, anima e corpo, ai più basilari rapporti umani di natura affettiva, pietra angolare dell’esistenza, capaci di rassicurare e di creare un pertugio confortevole anche di fronte al peggiore degli eventi.
In Medio Oriente. L’utilizzo di un’arma biologica sta decimando la popolazione, espandendo rapidamente i suoi effetti verso ovest, fino a colpire l’Europa, per poi avvicinarsi a lunghe falcate alla costa est degli Stati Uniti. Un allarme globale che colpisce tre coppie americane. La relazione tra Anna (Teresa Palmer) ed Erik (Penn Badgley) vive di alti e bassi, ma la ragazza ha una buona notizia, che potrebbe migliorare il loro rapporto. Andy (Frank Langella) è il nonno di Erik e marito di Esther (Gena Rowlands), assediato dai sensi di colpa per quanto sta succedendo. Infine, Mia (Rosario Dawson) è la compagna di Len (Josh Hartnett).Vivono insieme felicemente, anche se la donna avrebbe una confessione impellente da fare, ma il tempo stringe e le priorità vertono altrove.
Ognuna di queste coppie vivrà a suo modo il dramma condiviso da tutto il globo, un momento spartiacque per la civiltà.
Verso la fine del mondo è un esemplare dell’altra faccia del cinema catastrofico, che agli effetti speciali preferisce gli affetti, quelli comuni a uomini e donne di ogni latitudine, che ambiscono alla felicità più abituale, con i loro sensi di colpa, i dubbi dettati dalla coscienza, ma anche la voglia di non mandare tutto a monte, nonostante la deadline si appresti a varcare le loro porte senza chiedere il permesso.
Brian Horiuchi, sceneggiatore e regista, scarta precocemente tutte le vie più facili a favore del rigore, formale e contenutistico. Il suo dispositivo intreccia i fili di tre coppie, tra presente e flashback, e agisce volutamente sottotono, scavando nelle tracce proposte. La coerenza è il principale leitmotiv, tanto da produrre una matrice uniforme, al punto da risultare monocorde.
Giusto alcune (meravigliose) sequenze insediate nella mente di Anna, tagliano metafisicamente un grigiore imperituro, ma il resto è sedimentato su un canone troppo irrigidito sull’integrità, rispettata ma castrante. Per questa ragione, l’importante cast arruolato ha poche occasioni per brillare. Desta una discreta impressione Josh Hartnett, impegnato senza forzature, Rosario Dawson tenta – senza gran successo - di smuovere la polvere dai soprammobili, mentre i big Frank Langella e Gena Rowlands sono presenze ingabbiate, giusto da osservare. Invece, grazie agli slanci succitati, affiora Teresa Palmer, protagonista irrequieta, dolente e trasognante.
Non far emergere un cast del genere rimane un peccato. Detto questo, a Brian Horiuchi non difetta la dedizione, ma il grigiore imposto è annichilente, tanto più che due linee narrative su tre non trovano sbocchi significativi, penalizzando le buone intenzioni, comunque visibili a occhio nudo.
Austero, senza possedere le doti per trarne un reale profitto.
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