Regia di R.J. Cutler vedi scheda film
“If i stay”, titolo originale migliore del nostrano, propone direttive collaudate mascherate con un contorno meno sciapito del solito, però in fondo non va poi molto lontano, ha un target prefissato, vuole raggiungerlo e probabilmente in tal senso non fallisce.
Ma se si sposta solo di poco l’obiettivo allora si sente puzza di bruciato.
Incontrando Adam (Jamie Blackley) la teenager Mia (Chloè Grace Moretz) ha conosciuto l’amore, ma dopo l’idillio si ritrova a dover scegliere se seguire i suoi sogni musicali che la porterebbero lontano o stare accanto al suo ragazzo musicista lanciato.
Poi un gravissimo incidente stradale la costringerà ad una lotta ancora più dura, quella per la sua stessa vita.
Amore, morte e musica sono i tre paletti sui quali si costruisce una storia abbastanza consueta che grazie al terzo elemento trova qualche coordinata piacevole.
Non tanto per la colonna sonora comunque orecchiabile, ma perché la musica è la passione che unisce i due innamorati, un vero veicolo emotivo che sprigiona la sua forza nelle prove più ricche di trasporto.
Ma più o meno qui si ferma ciò che potrebbe arricchire il contesto, per il resto estremamente legato alle dimensioni dei due protagonisti con il primo amore, quello dei sogni, con un’acerba ragazzina che trova il principe azzurro e poi anche le prime prove da affrontare
Tutto parecchio mitigato, sviluppato per un pubblico giovane, furbo, comunque non troppo sprovveduto, si forma a suon di sotterfugi con la protagonista nel limbo tra la vita e la morte destinata a scoprire come stanno i suoi famigliari e a rivivere, e quindi farci scoprire, il suo recente passato, insomma a che punto si era prima del fatidico incidente e come ci si era arrivati.
Un processo quindi destrutturato nella (ri)costruzione degli eventi, opzione che all’inizio ripaga ma alla lunga convince sempre meno e per una volta anche la brava Chloe Grace Moretz sembra in difficoltà, non è infatti facile accettarla in un ruolo “strano” per lei ma soprattutto è la storia ad imbrigliarla, che poi Jamie Blackley non sia un fenomeno era da mettere in conto.
Poche cose quindi divergenti da quanto ci si aspetterebbe ed un processo medio che più si avvicina alla conclusione più abbraccia note fin troppo chiare ed emesse senza stimolare una percezione particolarmente profonda.
Desueto e con pochi slanci di qualità.
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