Regia di Federico Fellini vedi scheda film
E' nel segno di Charlie Chaplin che Fellini trova la sua via al post-neorealismo. Dopo aver deformato un popolo già infatuato di idoli mediatici (Lo Sceicco Bianco) e tinteggiato l'indolenza della borghesia di provincia (I Vitelloni), l'autore riminese si butta in un territorio ambiguo, al confine fra la favola e gli ultimi retaggi rosselliniani. Il dato storico-sociale resta sempre in agguato e talora riaffiora nella sua problematicità (la povertà, le difficoltà materiali del dopoguerra), ma è perlopiù trasfigurato in un limbo incantato e surreale, dove i personaggi sono ammantati di quel candore lirico evitato per principio da Rossellini ed impedito, in De Sica, dagli orrori di una realtà troppo tragica per essere oggetto di trasfigurazione. Realismo magico/poetico, quindi. Il riferimento è verso quei cineasti che in passato hanno affrontato la realtà col filtro della poesia o che, viceversa, hanno fatto emergere la fantasia da uno sfondo di misera realtà: Chaplin sicuramente, ma anche Carnè. "La strada" inaugura un cinema anti-psicologico, episodico, in cui il tempo pare ristagnare: e fin qui c'erano arrivati anche Renoir e Rossellini. Quello che ci ha messo, di suo, Fellini è la componente fantastica: ma è un fantastico del tutto privo di effetti speciali o elementi soprannaturali. E' un fantastico fatto tutto di realtà, plasmato dalla realtà, conchiuso nella realtà. Da qui il peculiare surrealismo di Fellini: un cinema "di evasione", ma non "dalla realtà", bensì "nella realtà". Questo è stato indubbiamente il lascito più importante di Fellini sulle generazioni future. Kusturica, uno dei suoi massimi eredi/estimatori, fa la stessa cosa: un cinema di evasione (danze scatenate, folklore, siparietti grotteschi) all'interno di una realtà degradata (guerra, crimine, nomadismo). Il circo, con tutta la sua galleria di tipi bislacchi, è solo un dettaglio. Solo un espediente allegorico di cui Fellini si è servito per dispegare la propria poetica. "La strada" è forse il primo passo di Fellini in direzione di un cinema esistenzialista, che non dimentica la Storia, ma che estrae da essa l'amaro nettare. "La strada" è quindi un film disperato. Una buffa tragedia della solitudine e dell'emarginazione, condotta sull'affiatamento di una memorabile ed irripetibile coppia attoriale: le smorfie del burbero Quinn e gli occhioni teneri della Masina sono iperboli che non ammorbidiscono certo la tristezza della loro condizione, ma la rendono anzi ancora più dolente.
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