Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Sulla strada scorrono queste solitudini e per un po’ viaggiano insieme. Poi quel mare, di notte, ne cancellerà le tracce.
Una spiaggia del litorale laziale apre il film, bambini che scorrazzano, Gelsomina entra nel campo visivo di spalle, col suo lungo mantellaccio e la scodellina gialla di capelli in testa (è un bianco e nero, quello di Fellini, che i colori te li fa immaginare).
In fondo, tra le dune e i cespugli di un tempo ormai neppure più nella memoria (anni ’50, si andava al mare se si poteva e si piantava l’ombrellone a caso su spiagge semivuote), la casupola piena di fratellini di Gelsomina, la madre, odiosissima e petulante, che l’ha venduta per diecimila lire a Zampanò e lui, enorme, selvatico, scuro, appoggiato ad un palo, che aspetta di andarsene con l’acquisto appena fatto.
Gelsomina è già tutta qui, in questa prima scena, dove incredulità, dolore, e poi, all’improvviso, orgoglio e stralunata allegria passano in rapida successione nei suoi occhi tondi tondi, nei gesti da bambolina mal assemblata da un giocattolaio pazzo, nella ruota del mantello che le gira intorno e se la porta via, lungo quella strada di miseria che attraverserà con Zampanò.
Gelsomina si è sentita scelta, poco importa che lui la tratti come un oggetto qualsiasi, come un sasso “anche i sassetti servono, perchè se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle” le dirà il Matto, buffo equilibrista la cui vita è sempre "un filo teso nel vuoto",un po’ filosofo e un po’ scanzonato, sempre sorridente, anche lui sulla strada, a vivere alla giornata in quell’Italietta in ricostruzione, dove ci si divertiva con poco, in piazza, fra girovaghi e saltimbanchi, mentre Zampanò spaccava la catena coi pettorali e Gelsomina batteva sul tamburo.
Ma poi aveva imparato il mestiere, Gelsomina, e suonava con la tromba quel motivo che dà un calore disperato a tutto il film e un giorno Zampanò lo sentirà nell’aria, qualcuno lo canta, e allora saprà che Gelsomina è morta, l’avevano trovata sperduta sulla spiaggia, dopo che lui l’aveva abbandonata e lei non aveva più parlato per anni, chiusa nella sua muta follia. Solo, aveva continuato a suonare quel motivo.
La morte del Matto, vittima della violenza di Zampanò, aveva avvolto il mondo di Gelsomina in un involucro di silenzio, riusciva solo a ripetere “il Matto sta male...” e fare goffi tentativi di fuga da quel carrozzone che non aveva mai voluto lasciare prima, perchè, nella sua piccola testa di donna-bambina, era forte la convinzione che Zampanò avesse bisogno di lei.
Ora è davvero sola, è sparito quel mondo al di là delle cose che soltanto lei riusciva a vedere, come i bambini che nella strada buia sentono intorno a sè i personaggi delle favole, e il rifugio è nella sommessa pazzia che l’addormenta, mentre Zampanò fugge via, incapace di capire .
Il mare, lo stesso che aveva aperto il film, ora lo chiude, e sulla riva Zampanò piange, un pianto inaspettato, o forse no, in un destino di miseria si può essere matti sorridenti che contano le stelle, o piccoli clown che suonano la tromba, o giganti troppo soli e senza speranza per riuscire ad essere umani.
Ma capita anche di piangere.
Sulla strada scorrono queste solitudini e per un po’ viaggiano insieme. Poi quel mare, di notte, ne cancellerà le tracce.
Il mare dei ricordi infantili, i clown con i loro convogli sgangherati, la realtà che trasfigura in favola, la sfuma in lirismo senza perderne i connotati ruvidi e stranianti, Fellini, trentaquattrenne, c’è già tutto in questo film e il tema sonoro di Gelsomina ha attraversato mezzo secolo e ancora disegna nell’aria quel buffo,piccolo clown con la testa che sembra un carciofo.
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