Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
“Lo stile è una differenza; un modo di fare, un modo di essere”, sono i versi di una poesia di Bukowski declamati dall’attore Ben Gazzarra all’inizio di STORIE DI ORDINARIA FOLLIA. Anche nel cinema lo stile è una differenza, un modo di fare, di essere, cosicché non si confondano tra di loro i registi, per evitare la trappola dell’appiattimento, dell’omologazione. Lo stile di Marco Ferreri è unico, inconfondibile e quando ha deciso di portare sullo schermo alcuni racconti di STORIE DI… lo ha amalgamato con quello di Bukowski, estraendo da alcuni suoi racconti le tematiche e gli aspetti più vicini alle sue corde. Il regista milanese, infatti, seguendo il deambulare di Charles Serking per i borghi di una Los Angeles triste e inospitale, descrivendo le sue avventure etilico/amorose concretizza il senso di solitudine, disperazione e inadeguatezza che si respira in tutte le sue storie. L’occhio di Ferreri, visivo e anche narrativo, ci mostra le pulsioni primarie quali sesso, alcol, autodistruzione che muovono il protagonista, ma ne prosciuga quasi completamente l’ironia e l’autoironia presente nei romanzi. Dà un certo spessore, come sempre nel suo cinema, alle figure femminili, in particolare la prostituta Cass “la più bella ragazza di tutta la città”, emblema di vita e di morte, di autodistruzione e speranza in una vita diversa, ma visto l’epilogo tragico anche simbolo della sua incapacità di amare e possedere qualcosa al di fuori della sua arte di scrivere. Questo film, interpretato molto bene da Ben Gazzara (un Bukowski meno butterato e con più aplomb) e da Ornella Muti nei panni sofferti di Cass, è un tipico esempio di libera (e ottima) interpretazione di un romanzo e del suo autore, di rivisitazione visiva dei luoghi in cui sono ambientate le sue opere, ma senza stravolgerne lo spirito di fondo.
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