Regia di Wolfgang Petersen vedi scheda film
La prima volta che vidi questo film avevo solo sei anni ma ancora oggi – nonostante di anni ne siano passati ben venticinque – ricordo che mi piacque moltissimo. Soprattutto, rammento che mi capitò di immedesimarmi molto con i personaggi, in particolare con quello di Atreiu: quanto mi sarebbe piaciuto essere al suo posto mentre volava sul Drago della Fortuna (sfido chiunque lo abbia visto da bambino a dire di non aver provato lo stesso desiderio). Dopo quella volta, però, non ho più avuto modo di rivedere questo film. Soltanto poco tempo fa sono riuscito a riguardarlo, ma questa volta non ho provato le stesse emozioni di quando l’ho visto da bambino.
Probabilmente la causa è da ricercare nel fatto che, nel tempo passato tra le due visioni, mi è capitato (quasi per caso, a dire la verità) di leggere il libro di Michael Ende da cui il film è tratto. E non c’è proprio paragone! Il libro, infatti, è un capolavoro: la storia è avvincente dalla prima all’ultima pagina (tutti i capitoli sono magnifici; forse il più bello è quello intitolato “Le Acque della Vita”), i personaggi complessi e sfaccettati (al lettore viene naturale identificarsi praticamente con ognuno di essi), e le invenzioni (come quella, stupenda, dei sogni dimenticati degli uomini che finiscono nella miniera delle immagini) profuse a getto continuo. In poche parole, il romanzo di Ende è il trionfo della fantasia: è un invito a credere nel potere dei sogni affinché questi si possano realizzare. Mica facile, quindi, riprodurne la stessa identica magia nella versione cinematografica.
E infatti, soprattutto per gli amanti del libro, il film di Wolfgang Petersen è una grossa delusione.
Anche perché la pellicola si occupa solo della prima parte del romanzo, quella che racconta del Nulla che minaccia di cancellare per sempre il regno di Fantàsia, e di come un fanciullo guerriero, Atreiu, in compagnia del suo cavallo, Artax, dietro incarico dell’Infanta Imperatrice, faccia di tutto per impedire che ciò avvenga, tralasciando completamente la seconda. Addio, perciò, a personaggi memorabili come Graogramàn, la Morte Multicolore; al Vecchio che vive solo nella Montagna Vagante, che continua a scrivere all’infinito sempre lo stesso libro, “La Storia Infinita”; alla Donna Aiuola e la sua Casa che muta; a Yor, il vecchio minatore cieco custode della miniera delle immagini; e pure agli Acharai, il popolo dalle cui ininterrotte lacrime nacque Amarganta, la città d’argento.
Ecco, tutte queste meraviglie (e tante altre, tipo Perelun, il Bosco Notturno) nel film di Petersen mancano, e non è certo un difetto da poco, anzi. Il limite principale di questa trasposizione cinematografica, quindi, è quello di aver semplificato troppo il romanzo di Ende (che, giustamente, si arrabbiò di brutto quando vide quello che avevano combinato gli autori della pellicola). Vista la notevole base di partenza, “La storia infinita” poteva essere un bellissimo fantasy: così com’è, invece, è un film appena discreto che riesce solo in minima parte a ricreare l’incredibile magia contenuta in ogni singola pagina dello straordinario libro di Ende. Perciò si consiglia la visione di questa pellicola soprattutto a coloro che non hanno mai letto il libro da cui è tratta: chi invece lo ha letto rimarrà inevitabilmente deluso dalla versione che ne ha ricavato Petersen. Tra le cose da bocciare c’è sicuramente il finale, troppo sbrigativo; mentre tra quelle da salvare c’è la parte ambientata nella Palude della Tristezza (coinvolgente e visivamente affascinante; e la morte di Artax è un momento struggente) e la deliziosa colonna sonora di Giorgio Moroder. In ogni caso, come già detto, “La Storia Infinita“ di Michael Ende è veramente tutta un’altra cosa: semplicemente, è uno dei libri più belli mai scritti.
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