Regia di Stefano Calvagna vedi scheda film
Calvagna ha delle idee (giuste o sbagliate, divertenti o frivole, originali o già sentite che vogliate) e vuole farcelo sapere in ogni modo. Ecco che imbastisce quindi la sceneggiatura di questa commediola sentimentale moderna-ma-non-troppo, nella quale un (circa) trentenne disilluso dalle donne ricomincia a credere nell'amore e in sè stesso grazie a una serie di fortuiti incontri; inutile fare eccessive colpe all'autore se l'opera in sè è palesemente un pretesto per mettere in bocca agli interpreti il suo punto di vista sul mondo, ma è già più sensato fargliene per la maniera trasandata in cui mette in scena la storia, per la scarsa dimestichezza con la direzione degli attori (la maggior parte dei quali soffre, a sua volta, una scarsa dimestichezza con la recitazione) e, se si vuole proprio essere pignoli, per un certo maschilismo strisciante che vorrebbe mascherarsi da "ci fa", ma che purtroppo è un vero e proprio "ci è". Nel senso che Calvagna non ha mai fatto mistero delle concezioni di "Dio, patria e famiglia" che reggono il suo mondo e che, in base a ciò che di lui si sa, non è difficile interpretare il sottile piacere provato nello stigmatizzare, per iperboli, gli atteggiamenti maggiormente negativi che da sempre caratterizzano l'universo femminile (l'indecisione perenne, le fobie, la falsità - come se l'uomo fosse invece immune da tutto ciò). In sostanza, E guardo il mondo da un oblò è, sì, un prodottino leggero e facilmente digeribile, ma che lascia comunque in bocca un certo retrogusto amarognolo; Calvagna si ritaglia un ruolino, affidando la parte centrale al canino Luca Seta (che, pressochè esordiente, otterrà in seguito un paio di particine in serie tv e scomparirà) e sfruttando al meglio un cast di semi-dilettanti (Serena Fragetti, Licia Nunez, Gianluca Gunnella) e qualche professionista più o meno degno di nota (Tiberio Murgia, Andy Luotto, Chiara Sani, Elena Bouryka, con una comparsata del giornalista Amedeo Goria); prima produzione per la Poker Film dello stesso regista, che poco dopo licenzierà Il lupo, la sua opera più controversa. Colonna sonora giustamente affidata a Gianni Togni, autore di Luna, il pezzo da cui proviene il titolo della pellicola. Ultima annotazione: come già notato in Arresti domiciliari (2000), il Calvagna 'leggero' funziona meglio di quello drammatico; e proprio allo stesso modo in cui si conclude quel film, anche qui il regista nell'ultima sequenza mette in scena la troupe al lavoro, smascherando la finzione con un gesto - non scontato - autoironico. 2,5/10.
Un ragazzo, per dimenticare la fidanzata che lo ha abbandonato, si rinchiude nella lavanderia a gettoni per cui lavora. Una serie di incontri imprevedibili cambieranno drasticamente la sua vita, aiutandolo a riprenderla in pugno.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta