Regia di Kaare Andrews vedi scheda film
Terzo capitolo (di una serie non certo esaltante) che vanta pretese di prequel. Girato da un regista canadese ben poco ispirato, di certo non aiutato da una sceneggiatura davvero incompleta.
In una non meglio specificata isola dei Caraibi, denominata scherzosamente Inferno, il dottor Edwards (Currie Graham), operante all'interno di una base di ricerca medica, tiene in stato di isolamento Porter (Sean Astin): un portatore sano di una forma virale che si manifesta con effetti devastanti sul corpo umano, attaccando gradualmente la pelle delle vittime. Le intenzioni sono quelle di prevenire la diffusione di una malattia contagiosa e mortale e -comunque- di approntare un antidoto. Per festeggiare con con l'addio al celibato le imminenti nozze di Marcus (Mitch Ryan), suo fratello Josh e un'altra coppia di amici, organizzano un party finendo per approdare proprio sull'Isola Inferno.
Il canadese Kaare Andrews, nel 2010, debutta in regia con Altitude, film-estensione dell'episodio Nightmare at 20,000 feet, presente nel lungometraggio Ai confini della realtà. Altitude è un lavoro in grado di irritare per la bella messa in scena e la credibilità della scenografia (realistica nella sua pochezza: pare davvero di essere rinchiusi nel piccolo aereo) in nètto contrasto con l'inverosimile, dovuto agli impossibili profili psicologici dei protagonisti. Con una cervellotica motivazione finale, che sembra arrivare di peso dal Triangle di Christopher Smith e da Los cronocrimines. Passano un paio di anni e ritroviamo Andrews ospite del collettivo The ABCs of dead (primo capitolo di due), per il quale dirige l'inguardabile segmento V is for vagitus. Ancora un paio di anni e rieccolo dietro la macchina da presa, per il terzo capitolo di una serie poco entusiasmante che ha -inspiegabilmente- avuto un certo seguito (compreso un remake copia-incolla del primo film). In realtà, nella tendenza di certo cinema derivativo e poco originale, questo Cabin fever 3: Patient zero dovrebbe dare spiegazione del come e perché tutto ebbe inizio, collocandosi quindi nel difficile tentativo di sfruttare una serie, presentandosi nella variante di prequel. Parallelamente si sviluppano le due storie (nella base scientifica e la festa di addio al celibato) destinate a confluire in un unico finale, ma Andrews, nonostante si noti -per la resa degli effetti speciali - che la produzione ha comunque investito capitali, non ha alcuna grazia come regista. Gira con macchina a mano scene più adatte allo spartano genere POV, penalizzato anche da una fotografia mediocre, che invalida tutto il secondo tempo con immagini sature di colori (rosso, viola e blu) o terribilmenti scure (soprattutto nelle scene notturne) al punto da mettere lo spettatore in una situazione irritante, ovvero quella di non riuscire quasi mai a vedere, dettagliatamente, cosa sta accadendo sullo schermo. E così, tra una storia incomprensibile, una pessima regia e attori che sembrano trovarsi in scena per caso, viene da rimpiangere quegli stessi set (Patient zero è infatti girato nella Repubblica Dominicana) allestiti in passato dal nostro indimenticabile Aristide Massaccesi: qualunque suo low budget del periodo esotico/erotico (e anche porno) vince alla grande su cose di tale inconsistente fattura, tipo questo Cabin fever 3.
Un passo indietro, troppo tardi
Giunti alla fine delle riprese, qualcuno deve aver fatto notare che la sceneggiatura attribuita a Jade Wade Wall non filava per nulla, rendendo il prodotto a dir poco privo di coerenza e significato. Ecco allora che, dando segno della loro stessa perplessità sul risultato ottenuto, gli autori intervengono sui titoli di coda, facendo ricorso all'inserimento di svariati flash backes (montati in movimento al contrario) con l'intento (comunque fallito) di dare spiegazione sui molti passaggi criptici (leggasi confusi) del film.
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