Regia di Gianclaudio Cappai vedi scheda film
Regia attenta a lasciar parlare le immagini affiancata da una fotografia che indugia nei particolari, nei chiaroscuri che riflettono le ombre dell'anima. Il non detto, i silenzi che trasudano pudore, vergogna, impotenza, sono la forza di questa storia che invita lo spettatore ad entrare in punta di piedi, gradualmente, nel dramma dei protagonisti.
Un film scabroso, in cui il dolore, la malattia, il male prendono le sembianze di un intruso, qualcosa di imprevedibile e improvviso che può abbattersi sulla vita di chiunque portandogli via tutto.
L'intruso è il nostro lato oscuro, quella parte di noi che non vogliamo sapere esista, che nascondiamo persino ai nostri occhi, di cui ci vergognamo.
In quest'ottica il protagonista affronta il presente come una sorta di sfida verso un passato di cui porta profonde cicatrici e deve in qualsiasi modo liberarsi, pena l'esclusione dal futuro.
È un film sul dolore, sulla rabbia, sul tentativo di riscattare l'innocenza perduta vendicando il passato. Con un guizzo finale che ridona speranza, pur nell'ambientazione catastrofica e ben oltre la disperazione.
Un filo sottile percorre la trama, il filo di un segreto taciuto troppo a lungo, dei silenzi intrisi di pudore, di una violenza negata che cresce mostruosamente e che agghiaccia. Una storia che scava dentro perché ci mette di fronte a verità che non vorremmo vedere.
La sua grandezza sta nel non dividere i buoni dai cattivi, il bene dal male. In ognuno di noi convivono entrambi, e forse guardare in faccia l'intruso e stanarlo è l'unica possibilità che abbiamo di non farci sopraffare da lui.
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