Regia di Jayne Loader, Kevin Rafferty, Pierce Rafferty vedi scheda film
Questo film documentario sembra riportarci a riti sociali ossificati, a forme di visione collettive ormai inevitabilmente inusuali.
Sembra, in altri termini, di scendere i gradini di un locale ad uso pubblico (quale una parrocchia od una casa del popolo) raggiungendone il "basement" per godere della visione di un lungometraggio proiettato in super 8. Sonoro incassato, distorto e gracchiante, lentiggini sullo schermo, colori (quando ci sono) troppo tenui o semplicemente artificiosi. Questo documentario sembra inoltre concepito per essere visto da un gruppo più o meno nutrito di persone piuttosto che da una persona sola. In effetti, The Atomic Café è una collazione di documenti, immagini, pubblicità e notiziari prodotti negli States dall’immediato dopoguerra fino alla fine degli anni ’50; il tutto è presentato in forma anodina e al contempo eloquente chiamando lo spettatore stesso a produrre glosse e a confrontarsi con l’amico seduto accanto, commentando una successione di filmati che il tempo ha reso piccoli, puerili ed ingenui.
Pura e (ora) poco credibile propaganda politica, ma che in quegli anni risultò di grande efficacia per promuovere la corsa agli armamenti atomici. Il compito era improbo: unire l’idea di un’arma di distruzione terribile, devastante e, fino a qualche anno prima, inimmaginabile ma “necessaria” con l’idea rassicurante di un golem controllabile purché conosciuto. Pertanto la propaganda statunitense di quegli anni si muoveva sul solco del finto buon padre di famiglia che con voce adulta andava a smentire i “luoghi comuni” inutilmente allarmisti; di riflesso l’atteggiamento tronfio e militante di larga parte della popolazione ritratto da alcune interviste dell’epoca: padri e madri di famiglia e persino uomini di chiesa che plaudivano all’arricchimento degli arsenali atomici e che finirono - ad onta di una democrazia - col sostenere la quantomeno sbrigativa condanna a morte per spionaggio dei coniugi Rosenberg.
Atomic Café non è pertanto un docufilm sul pericolo atomico, piuttosto attraverso esso descrive la condizione dei media e il loro potere plasmante regalandoci un’idea veridica ed oggettiva del clima culturale di quegli anni di un America in lotta ideologica col comunismo e con la “differentemente democratica” Unione Sovietica. Virgolettati che appaiono ricorrenti e necessari, specie commentando le prime scene dove, nel clima idilliaco dell’Atollo di Bikini, le forze armate americane invitano una popolazione pacifica e canterina ad abbandonare “momentaneamente” (appunto) le loro isole perché teatro di un esperimento atomico. Isole che quegli indigeni non rivedranno mai più. La verità del tempo ha rafforzato questo documentario con le sue tesi e condanne assolutamente implicite. Esemplare.
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