Regia di Rodrigo Garcia vedi scheda film
Yeshua errabonda nella terra degli uomini (ma lontano da essi).
Affamato ed assetato, l’ombra di sé stesso lo perseguita e lo provoca al confronto. Un confronto tentatore… ma non solo; alle volte funzionale alla comprensione; del proprio ruolo nella Storia; della strada da intraprendere. Un confronto franco, aperto, fra pari; fra Figli abbandonati e/o ripudiati.
Un confronto a due… sulla pelle di una famiglia, che assiste impotente (come sempre è stato, è ed ancora sarà, NdR) allo scorrere inesorabile degli eventi.
Last Days in the Desert è un film che si discosta dalla tradizione… non senza che ciò abbia importanti ripercussioni sulla resa ed il valore dell’opera. Delle 3 fatidiche tentazioni di biblica memoria non vi è traccia; piuttosto compare un pulviscolo disordinato di piccoli dilemmi, angosce, prove quotidiane più o meno latenti, insidiose, ma profondamente umane; incapaci, perciò, di tradire la gravità dell’impatto dirompente sul destino e le vite degli uomini.
Le velleità autoriali di R.García si perdono nella tessitura dei miseri elementi che affiorano sul proscenio. Il livello terreno prescelto come punto di osservazione non nobilita la demistificazione dell’impasto fra santità e debolezza (una chiave di lettura, questa, consunta, ma, sulla carta, sempre efficace); segna soltanto il limite delle capacità tecnico-artistiche della produzione.
Povertà di risultati che si sposa bene con la messa in scena minimale, d’altronde dovuta.
E.McGregor corretto, ma poco più di uno specchietto per le allodole.
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