Regia di Todd Haynes vedi scheda film
Todd Haynes ritorna in grande stile al melodramma sirkiano che già aveva magnificato in "Lontano dal paradiso" e, anche se forse non ne ritrova il perfetto equilibrio espressivo, ci regala un altro film di indubbio spessore. La stampa americana lo ha accolto con grande favore, mentre in Italia la critica si è maggiormente divisa, anche sul nostro sito. Quello che davvero non si può negare è lo splendore figurativo delle immagini, con una fotografia di Edward Lachman ancora una volta sensazionale, davvero magistrale nel ricreare "the look and feel of the Fifties", come direbbero gli anglofoni, insieme ai costumi di Sandy Powell e alle scenografie di Judy Becker. Ma veniamo alla sostanza della pellicola. Alcuni accusano il film di essere freddo, noioso e privo di passione. Sulla freddezza dello sguardo posso anche essere d'accordo, ma sicuramente è un effetto voluto, credo per mantenere una caratteristica della scrittura di Patricia Highsmith, autrice notoriamente misantropica e crudele nella concezione della vita e nel l'atteggiamento verso i suoi personaggi (non ho letto il romanzo "The price of salt", ma a quanto leggo su alcune fonti la sceneggiatrice Phyllis Nagy ha fatto un lavoro certosino per riprodurre in pellicola lo stile della Highsmith). A me sembra che la storia di Carol e Therese, del loro rapporto dove si mescola l'ebbrezza del sentimento con le dinamiche del possesso con le frustrazioni dovute ad una società rigida e castrante, sia condotta con mano salda da Haines e amplificata dall'ottima resa delle due attrici; purtroppo il film sbanda un po' in alcune scene dove la sceneggiatura non evita soluzioni un po' scontate come le scenate del marito, rese in modo petulante e prevedibile, ed è vero che i personaggi maschili sono generalmente tratteggiati con minore profondità, ma il cuore del film è nel rapporto fra le due donne e lì il regista non sbaglia quasi nulla, riservandoci anche un finale emozionante e rendendo appassionanti perfino le numerose scene ambientate nel chiuso di una macchina. A Cannes è stata premiata solo Rooney Mara, ma anche Cate Blanchett torna al meglio delle sue possibilità con una recitazione sorniona e vellutata; fra i caratteristi Sarah Paulson dà un bel rilievo al personaggio di Abby, mentre Kyle Chandler incide poco nel ruolo del marito, ma forse non è colpa sua. Per me un film complementare rispetto a "Far from heaven" e "Mildred Pierce", non una copia, dunque un'altra pellicola di pregio nella carriera di uno dei migliori registi indipendenti americani.
Voto 8/10
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