Regia di Olivier Nakache, Eric Toledano vedi scheda film
Come intitolare, se non con un nome proprio, un film a lieto fine su un clandestino in cerca di un’identità riconosciuta? Come aprire Samba se non su un ballo matrimoniale di bianchi legato (via pianosequenza) al ritratto mesto delle cucine e dei lavoratori? Perché non richiamare il sottoproletariato di Pasolini con un poster in metrò che ammicchi alla buona borghesia? Nakache & Toledano questo sanno fare. Un cinema dei minimi termini, dalla retorica chiara ed emotiva, che si sceglie due tipologie di pubblico: 1) quelli in cerca di conferme, di storie che raccontino i propri ideali, che restituiscano la sensazione (retorica, ça va sans dire) di un impegno sociale e 2) quelli da educare a ideali progressisti e diritti umani fondamentali per via di lacrime, risa e divismo, di una commedia drammatica popolare abitata da star, che apre le porte del cinema di massa a luoghi e storie non frequentati. Samba - storia d’amore tra immigrato e assistente sociale in burnout, che riscopre sentimenti e valori a contatto con l’altro - assolve perfettamente a queste funzioni sociali. Dietro c’è comunque un cinema macchiettistico, tra l’ipocrita e l’ingenuo, tra il coloniale e l’utilitarista, incapace di costruire personaggi, figuriamoci comprenderli e rispettarli, figuriamoci emanciparli dall’essere mere funzioni spettacolari (il clandestino, la depressa). Engagé e pavloviano (come le musiche di Einaudi).
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