Regia di Chema Rodríguez vedi scheda film
Il regista sivigliano Chema Rodríguez, noto per i suoi lavori documentari, soprattutto Estrellas de la Línea (2006), premiato alla berlinale, a Málaga, a San Sebastián e in diversi altri festival mondiali, esordisce nel lungometraggio senza allontanarsi troppo dalle proprie corde storiche. Infatti, Anochece en la India è un road movie come due sue precedenti opere di narrativa di viaggio: El diente de la ballena (El País Aguilar, 1999) y Anochece en Katmandú (RBA, 2003).
Se il viaggio è il racconto per eccellenza, come esimersi? Non ci si può tirare indietro se l’occasione è ghiotta come la storia di un uomo ormai fisicamente corrotto dagli anni e da una malattia degenerativa che lo condanna sulla sedia a rotelle che vuole intraprendere l’ultimo viaggio della sua vita ripercorrendo la tratta Spagna-India via terra come aveva sempre fatto in gioventù.
Le premesse sono buone. L’incipit è accattivante, con un ottimo Juan Diego che non si imbarazza della propria nudità e non le manda a dire a nessuno. Un vecchio burbero e apparentemente razzista che sembra solo approfittarsi della badante rumena, ma che in realtà la porta in gran considerazione e con cui condividerà contro ogni previsione l’intero viaggio.
È una coproduzione spagnola, rumena, turca, indiana e svedese – così infatti si giustificano sia la tappa rumena del viaggio che l’inutile personaggio della bionda autostoppista svedese – che parte bene, con Javier Pereira tra i partecipanti del viaggio, per impantanarsi nei successivi moduli rodie, come i bivacchi notturni dove i personaggi fanno le loro intime confessioni a bassa voce, le tensioni razziali e sociali, l’accettazione del diverso e dei difetti altrui, l’affetto che nasce dopo una lite e così via, tra cui ovviamente il cardine strutturale di un road movie: la strada, il movimento, gli spazi aperti e le avventure picaresche.
Purtroppo Chema Rodríguez non è pienamente in grado di gestire il materiale narrativo e le risorse artistiche a disposizione. Ostaggio di una sceneggiatura abbastanza televisiva, firmata a quattro mani con David Planell, sceneggiatore di alcune serie tv spagnole come Hospital Central (2004), El comisario (2007) e Un burka por amor (2009), Rodríguez non sa conferire il giusto respiro a una storia che si sviluppa lungo un percorso fisico e concreto attraverso più continenti e soprattutto attraverso più culture e a un gran numero di paesaggi ambientali. Inoltre, la sovraesposizione emotiva, telefonata quanto patetica in più riprese, unitamente all’algida rappresentazione del tema del viaggio, fanno di Anochece en la India un film a cui manca qualcosa, probabilmente la convinzione dello stessa regista circa la vicenda che stava raccontando.
Tant’è che, pur non credendo nella credibilità a tutti i costi di una storia, si fatica ad accettare la lunga sequenza finale in cui i due “corpi” protagonisti, ammaccati e persi nel deserto indiano, ricreato magnificamente in quello almeriense di Tabernas, resistono stoicamente alle avversità fino a trovarvi la morte. Sulla carta è un finale interessante, ma la sua resa cinematografica è poco coinvolgente. Sembra che il regista volesse tenere una certa distanza dai suoi personaggi e non sapesse come chiudere la loro dignitosa avventura verso il grande salto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta