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Padri e figlie

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su Padri e figlie

di M Valdemar
2 stelle

 

locandina

Padri e figlie (2015): locandina



In un mondo grigio attraversato da spifferi, ambiguità e incertezze (il cinema di) Muccino è una garanzia granitica.

Potremmo dire "muccinata" e già avremmo spalancato le porte della percezione, definito inequivocabilmente il valore e la densità dell'opera, aperto e chiuso un commento esaustivo a Padri e figlie.
Un merito, la riconoscibilità della firma del regista de L'ultimo bacio, certo, ma anche una condanna senza appello, un purgatorio ove espiare peccati e peccatucci.
Così l'ultimo suo lavoro americano: un greve tsunami melodrammatico che ti travolge violentemente portandosi con sé tutto il suo carico di familismo, di sentiment(alism)o pericolosamente prossimo alla soap opera, di verbosa melassa che come appiccicosa matassa spiega i suoi nevrotici filamenti filmici, enfatici ed egotici fino allo sfinimento.
Isterismi assortiti, scene madri (la furiosa litigata cominciata in casa e proseguita per strada tra l'infedele Amanda Seyfried e il poveretto Aaron Paul), semplificazioni psicologiche spicciole spiaccicate sullo schermo, conflitti elementari, schematismi come rifugio narrativo: d'accordo, lo script è fragile e grossolano (sebbene la sceneggiatura di Brad Desch avesse il pedigree della "black list" anno 2012: mah!), ma il regista romano ci mette tutto il suo carico di esagitazioni/escogitazioni emotive.
Risibili le ambizioni e le intenzioni introspettive: alla fine, il tanto sbandierato rapporto padre-figlia (Russell Crowe-Kylie Rogers bambina, Seyfried da adulta) è esplorato unicamente attraverso l'incredibile sequela di sventure vissute dai due, come fossimo in una piagnucolosa telenovela sudamericana. La morte improvvisa della rispettiva moglie e madre (cascate di sensi di colpa, of course), la grave malattia psicosomatica di lui (vedi prima), la cattivissima cognata e gentile consorte (Diane Kruger, frigida senz'amore e dispotica; Bruce Greenwood avvocato bastardo adultero così potente che "ha più soldi di dio") che vogliono portare via la dolcissima bambina perché il genitore superstite è instabile povero e sfigato (gli stroncano pure malamente, senza pietà, il suo ultimo romanzo, "Tulipani amari" -wtf?!!-). Senza contare, ovviamente, le conseguenze di tale stato di cose sulla piccola che, cresciuta, soffre di un poco di complicazioni: affetta da sindrome dell'abbandono, cerca rifugio emotivo aiutando altri bambini in qualità di assistente sociale (da cui l'inutile sottotraccia con la problematica ragazzina interpretata da Quvenzhané Wallis, nella quale si rivede), evitando ogni possibile relazione duratura concedendos le sue grazie a chi capita a tiro.
Intuibili gli sviluppi (ah, l'ammore!), superficiali i raccordi in flashback che raccontano "cosa è successo" a Crowe (saranno chezzi ameri), perfettamente conformi lo "struggente" commento sonoro e la elementare fotografia - tesi a sottolineare l'ovvio -, votati al sacrificio gli attori (su tutti, il malcapitato Russell Crowe, sprecatissimo), apocalittico e rivoluzionario il senso del celebrato romanzo postumo (Padri e figlie, appunto) che Amanda Seyfried - la "patatina" di cui parla il libro - illustra a Quvenzhané Wallis: "non arrendersi mai", perdinci.
S'arrenderà, Muccino, dopo questo - altro- preannunciato flop?




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