Regia di Sylvester Stallone vedi scheda film
Stallone di sicuro piaceva nei ruoli da duro delle produzioni hollywoodiane ma dietro la mdp palesava ancora disparate lacune. Oltre a non essere per niente intrigante nel concept "Staying Alive" è talmente sciatto e sottotono da deludere pure gli appassionati più sfegatati di "Saturday Night Fever" (di cui ne dovrebbe essere un anonimo sequel). Il film parla della consueta tiritera del giovane rampante in cerca del successo nella Grande Mela: non a caso Manero lascia Brooklyn per diventare un famoso performer nella sciantosa Manhattan. L’incipit sembra già fiacco di suo ma deprime altrettanto come nella prima potenziale scena danzereccia della palestra, coreograficamente e musicalmente stuzzicante, non venga indovinata nemmeno un’inquadratura. Lo sviluppo della fioca sceneggiatura vede poi il protagonista conteso da due colleghe (Cynthia Rhodes e Finola Hughes, qui decisamente mediocri): una biondina che canta nei locali notturni e la solita snob che si diverte a fare la canaglia. Nei montaggi che legano le varie ribaltine della storia assistiamo a ritmi incalzanti e spettacoli musicali variopinti; a parte forse lo show dell’epilogo, non c’è nulla che valga la pena di essere commemorato. Le location di New York sono inoltre piuttosto bruttine e patinate, e la fotografia eccede spesso in cromatismi noiosi ed artefatti. Per non parlare dei costumi scialbi e i pacchianissimi dialoghi, specie con l’insegnante della prestigiosa scuola di ballo (della serie: «tu hai la stoffa del campione figliolo, ma devi mettere la testa a posto..»). La ciliegina sulla torta è la chiusa all’insegna dell’autocitazionismo: Travolta (costantemente col pilota automatico) parodia se stesso, giggionando sulle note dei Bee Gees tra i marciapiedi di Time Square. Trascurabile.
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