Regia di John Carpenter vedi scheda film
“Lei si aspetta veramente che io dica al Presidente che un alieno è sceso sulla Terra? E ha assunto l'identità di un pittore edile defunto di Madison, nel Wisconsin? E in questo momento sta scorrazzando sulle nostre strade in una Mustang truccata arancione e nera del 1977?”
Wisconsin, 1984: Jenny Hayden (Karen Allen), giovane vedova, vede rovinare la sua già turbolenta nottata dall'arrivo nella sua abitazione di un esserino alieno che, davanti ai suoi occhi, si trasforma nel suo defunto marito Scott dopo averne visionato le foto (e sfruttandone una ciocca di capelli per “clonarlo”) in un album.
Jenny ha a malapena il tempo di sbigottirsi, svenire e poi opporsi con una pistola alla presenza della creatura (Jeff Bridges) che, oltre a colpirla nella ferita aperta della morte del marito, la costringe a portarlo in Arizona, dove potrà ricongiungersi ai suoi compagni per poi ripartire verso la sua stella; “invitato” sulla Terra tramite un messaggio spaziale di pace, l'alieno è stato colpito dalla contraerea statunitense e deve ormai semplicemente fuggire dai selvaggi terrestri.
L'uomo delle stelle memorizza alla perfezione ogni parola, ogni gesto, ogni figura e ha con sé sette sferette metalliche con cui riesce a realizzare degli autentici prodigi: forte di queste armi, riesce pian piano a convincere Jenny della sua missione e a vincere le sue reticenze e le sue richieste d'aiuto.
Intanto, un balzano scienziato, Mark Shermin (Charles Martin Smith), si mette sulle tracce dei due in seguito al ritrovamento del cratere generato dalla caduta della navicella (inizialmente ritenuto originato da un meteorite). Seriamente e scientificamente interessato alla faccenda, Shermin trova la stolida opposizione guerrafondaia della National Security Agency, decisa a sopprimere con l'esercito la creatura prima che generi scompiglio nella nazione.
Nel frattempo, prosegue il viaggio di Jenny in compagnia di un'intelligenza superiore che è anche un bambino piccolo e un marito amato e deceduto…
Genesi di “Starman”: la sceneggiatura venne consegnata diversi anni prima su qualche scrivania della Columbia Pictures, più o meno contemporaneamente ad un'altra sceneggiatura per un film fantascientifico, anch'essa trattante lo sbarco di un amichevole alieno sulla Terra; la Columbia si tenne “Starman”, lasciando l'altro lavoro ai “rivali” della Universal Picture. Si trattava di “E.T. - L'extraterrestre”, il film allora più redditizio di tutti i tempi…
Uscito poi tre anni dopo la favoletta di Spielberg e costato ben 24 milioni di dollari, parliamo comunque di un film nato con l'idea di farne un successo.
Il grande John Carpenter era solo l'ultima scelta della produzione, addirittura dopo Tony Scott che allora veniva dalla pubblicità, per dirigere questa sorta di commedia romantica sci-fi scritta da tre sceneggiatori (e curiosamente co-prodotta da Michael Douglas). Ancora non aduso a lavorare su commissione dopo aver scritto i suoi primi sensazionali film (“Distretto 13 – Le brigate della morte”, “Halloween”, “La cosa”, ma anche il passabile “Fog”), il baffuto regista era comunque desideroso di cimentarsi al di fuori dei generi thriller e horror; inoltre “La cosa” fu praticamente un fallimento (uscì poco dopo il sopracitato “E.T. - L'extraterrestre” e “Blade Runner”, fra l'altro) e Carpenter doveva necessariamente affrancarsi da quel tipo di lavori.
In “Starman” la sua impronta si sente relativamente poco, visto che non vi cura nemmeno, com'è solito fare, la colonna sonora, qui peraltro buonissima e affidata nientemeno che a Jack Nitzsche.
Carpenter esegue comunque più che bene il suo compito, tant'è che i 110 minuti di durata scorrono molto piacevolmente, grazie ad un ritmo ben impostato e al bell'affiatamento fra i componenti della coppia protagonista, ovvero un pulito e statuario Jeff Bridges e l'incantevole ma ordinaria Karen Allen, semi-ritiratasi troppo presto dalla recitazione per meglio badare al figlio.
Il diffuso umorismo nella parte centrale del film e i neanche tanto velati spernacchiamenti al potere costituito sembrerebbero rivelare la cifra stilistica di Carpenter, ma in realtà “Starman” si mantiene lineare, fedele ad un sentimentalismo per masse e famiglie (spielberghiano, appunto), lontano dal correre rischi di un nuovo flop; tuttavia, allo stato dell'arte, il successo fu contenuto, pur risollevato dalla nomination agli Oscar di Bridges, ma è pur sempre il film che – afferma Carpenter stesso – gli ha salvato la carriera registica. E allora ben venga!
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