Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Ci vuole un uomo di novant'anni, seppure maestro riconosciuto del nostro Cinema, per ridare speranza all'arte cinematografica di questo paese. E, paradossalmente, lo fa con un film che di speranza ne porta poca, con un livido ritratto di trincea e, nello stesso tempo, con un commosso omaggio ai ragazzi della Grande Guerra ma, ovviamente, a tutti i ragazzi che vanno a morire per quella "bestia affamata che continua a girare per il mondo". Un film di un'altezza vertiginosa come quella trincea scavata nella neve e popolata di facce e dialetti, di corpi e topi, di feritoie e mestoli, bestemmiata da Dio, inzuppata del puzzo denso della morte che attende, feroce, di fuori. Un paesaggio illuminato quasi sempre dalla luna, enorme e calma, da una natura maestosa e quasi immobile sotto i tiri dei mortai, sopra i corpi sepolti dalla neve che forse qualcuno verrà a reclamare al termine dell'inverno o che altrimenti diventeranno prati, boschi e, di nuovo, calma, silenzio, come se lassù non fosse mai capitato nulla. Ancora una volta, Olmi, costruisce un poema in ottanta minuti di grande bellezza, tutto scritto dentro gli occhi dei soldati, nella disumanizzazione della trincea, nelle anguste brandine su cui si sogna casa e si fa amicizia con i ratti. Un manifesto lucido e doloroso contro la follia della guerra. Questo è grande Cinema, perché questo è Cinema necessario, vivo, destinato a lasciare un segno senza ricercare a tutti i costi gli incassi, l'idiozia e i pop corn. Si rimane muti di meraviglia e di dolore.
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