Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
1917, Altopiano d’Asiago, confine italo-austriaco, fronte nord est della Prima guerra mondiale. Solo una notte in trincea, a 1.100 km sul livello del mare, tra il gelo di una bianchissima neve in cui sprofondano uomini finiti per essere numeri. Militi ignoti. Dimenticati. Ermanno Olmi dedica il film girato per il centenario del conflitto al padre che, quand’era bambino, gli «raccontava della guerra dov’era stato soldato». Ed è nella dimensione del racconto, del ricordo, della memoria, della fiction al lavoro che torneranno i prati s’ambienta, nonostante i luoghi siano quelli del conflitto, nonostante in quei prati sia stata ricostruita perfettamente la trincea. Perché nella fotografia desaturata di un 35mm portato in digitale, nei colori grigi di un tempo che sta per cedere all’oblio, Olmi mette in scena un realistico dramma di spettri. E, in un cinema che è sempre più prossimo a quello di Manoel de Oliveira, nelle forme di un realismo astratto e sospeso, fa della trincea il set di un teatro, in cui gli uomini sbiaditi con le fotografie, i soldati che han perduto il loro nome sono chiamati a rinascere, a celebrare una messa che evoca l’assurdo conflitto, riassumendone i caratteri in una recita alienata. Così, in un Kammerspiel funebre e antibellico, i morti ricordano il logoramento e lo spaesamento, il sacrificio a cui sono stati chiamati, soli di fronte a se stessi e incapaci di vedere il nemico, prima di crepare inutilmente, prima che la neve si sciogliesse e tornasse, ineluttabile, il verdeggiare dei prati.
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