Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Ancora un lutto grave per il nostro cinema: se n'è andato Ermanno Olmi. Mi piace rendergli omaggio con una mia vecchia recensione del novembre 2014.
Ispirandosi ai racconti di guerra del grande Federico De Roberto, compresi sotto il titolo La paura, quest’ultimo lavoro di Ermanno Olmi si colloca, secondo me molto opportunamente, fra le riflessioni, i dibattiti e le manifestazioni che si sono svolte per il centenario dallo scoppio della prima guerra mondiale in Europa (1914), che precede di un anno l’entrata in guerra del nostro paese a fianco delle potenze dell’Intesa. In un piccolo film di soli 80 minuti, il regista ci fa vivere il dolore e l’angoscia di quella guerra orribile che già nel 1914 era stata, principalmente, guerra di trincea, e che questo carattere aveva mantenuto anche sul fronte italiano, poiché sugli altipiani delle colline carsiche si erano attestate le nostre truppe e lì erano state scavate le trincee che a queste davano rifugio: nelle trincee si dormiva, si distribuiva la posta (quanto attesa!), si mangiava, ci si ammalava, si veniva curati alla meglio e, soprattutto si moriva. In un bellissimo bianco e nero, il regista ci racconta la nostalgia, il dolore e l’angoscia claustrofobica dentro ai cunicoli in cui vivevano i soldati; la sporcizia e le malattie, nonché le mitragliate che li decimavano, non appena tentassero qualche sortita all’aria aperta. Non mancano nel film gli accenni agli ordini irresponsabili e disumani degli alti comandi militari, che, impartiti per conquistare pochi metri di terreno, esponevano a morte sicura i militari costretti all’obbedienza, dai giovani ufficiali, che talvolta tentavano a loro rischio di ribellarsi per salvaguardare le vite dei giovani a loro affidati, ai soldati, che, uno dopo l’altro venivano fatti uscire dalla trincea e cadevano falciati dai colpi di mitra. Ai morti, crivellati di colpi, si aggiungevano numerosi suicidi o molti casi di autolesionismo, estremo e disperato gesto per sottrarsi al tremendo macello. I prati certamente sarebbero rifioriti nel bellissimo paesaggio del fronte ma, a chi, dopo questa guerra, li avrebbe rivisti in pieno rigoglio, il film vuole ricordare il dolore e le sofferenze costati a troppi giovani caduti.
Olmi ci aveva già raccontato, in passato, l’orrore della guerra, quando nel 2001 aveva girato il bellissimo film Il mestiere delle armi, narrandoci una guerra diversa ma non meno crudele: quella dei capitani di ventura e delle truppe mercenarie al loro seguito. Allora egli aveva capovolto il tradizionale giudizio storico-letterario, da Petrarca a Machiavelli, circa l’inaffidabilità di quei combattenti, raccontando la vita e la morte atroce di Giovanni dalle Bande nere, tradito dai Signori di Ferrara, per i quali stava prestando servizio.
Quel vecchio film costituisce, insieme a questo un indispensabile contributo alla cultura di pace di cui tutti noi, spero, sentiamo la necessità.
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