Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
Scordatevi Cena tra amici, il blockbuster transalpino che si è segnalato come una delle migliori commedie dell'ultimo decennio: questo remake non ha nulla a che vedere con l'originale. È necessario partire da qui per avvertire chi spera di andare al cinema per vedere una versione all'amatriciana (il film è girato nella zona del Mandrione, a Roma) del capolavoro tratto dal testo teatrale di Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte.
Francesca Archibugi, che non si vedeva al cinema da oltre un lustro (Questione di cuore), ha cercato di declinare il film di secondo i cliché dell'italianità, mancando completamente il bersaglio, a dispetto del tentativo di giocare nuovamente la carta della coppia Gassman-Lo Cascio, reduce dal successo al botteghino de I nostri ragazzi. E così vai con i flashback inutili mirati a ricostruire il lignaggio da ebreo illustre del padre di due dei protagonisti e con la messa alla berlina della sinistra ipocrita, salottiera, snob e radical chic con la casa piena zeppa di libri nel quartiere gentrificato e con l'edonismo sfrenato della destra.
Lo spunto narrativo è quello di un invito a cena: il fratellone destrorso (Gassman) si reca a casa della sorella frustrata (Golino) e del marito di lei (Lo Cascio), professore universitario. Tra i commensali ci sono anche un amico (Papaleo) e la moglie del fratellone (Ramazzotti), bambolona apparentemente acefala che arriva in ritardo perché impegnata nella presentazione di un libro di un livello letterario che farebbero sembrare le barzellette di Totti roba da premio Pulitzer. Una discussione partita da uno scherzo (annunciando che il bebè in arrivo si chiamerà Benito, così come era Adolfo in Cena tra amici) degenera in una serie di recriminazioni incrociate, rivendicazioni e scheletri brutalmente tirati fuori dall'armadio in una logomachia di tutti contro tutti.
Se nel film francese qualche battuta sfuggiva per il troppo ridere, qui si rimane ammutoliti davanti a tanto spreco di parole, alle psicologie binarie (pretestuosamente arricchite da idiomi comportamentali, dalla ginnastica isometrica al tweet compulsivo) e ai movimenti in perenne volteggio della macchia da presa con tanto di drone domestico e Il nome del figlio, piuttosto che sembrare un remake del cugino gallico, pare la copia sbiadita e manierata de La terrazza, il capolavoro di Scola. Sicché in un film che si concede anche un imbarazzante trenino sulla note di Telefonami tra vent'anni di Lucio Dalla, le uniche cose che si salvano sono le immagini aeree iniziali, la recitazione del quintetto protagonista e il parto dal vero di Micaela Ramazzotti, filmata dentro la sala ospedaliera.
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