Regia di Dino Risi vedi scheda film
Lo scrittore Piero Chiara ha dato parecchio materiale al cinema: originario di Luino sul lago Maggiore ha in quella zona trovato l'habitat ideale per i suoi ritratti vividi e spesso dissacranti della provincia. Aveva già ispirato Lattuada con il suo venga a prendere il caffè da noi, poi il sanguigno Il piatto piange con un eccellente Aldo Maccione, La banca di Monate un po' abbozzato ma con un duo di protagonisti non indifferente (Walter Chiari e Vincent Gardenia) o il più recente Il pretore che già a suo tempo era stato studiato per divenire film con Paolo Villaggio.
Con La stanza del vescovo si arriva ad una messinscena di prima qualità: la direzione di Risi, sebbene influenzata dal cinema coevo (ha quindi dovuto cedere a parecchie scene di nudo, anche sopra la media delle tipiche commedie sexy) rimane di prima qualità, l'ambientazione malinconica e autunnale trasmette bene i sentimenti di incertezza dei personaggi, altrettanto bella e malinconica la colonna sonora di Armando Trovajoli. Su tutti troneggia l'interpretazione di Ugo Tognazzi, qui in splendida forma nel ruolo di un personaggio laido ed ambiguo (non si fa scrupoli a soffiare la ragazza dell'amico ma nemmeno ad insidiare le giovanissime figlie del cognato). All'alba dei cinquanta, Temistocle Mario Orimbelli, questo il nome del personaggio interpretato da Tognazzi, vive come un leone in gabbia in una fastosa villa sulle rive del lago: dopo aver sposato Cleofe, ricchissima ed arcigna, ed un'assenza di 10 anni dovuta (poco credibilmente) alle sue vicissitudini belliche. Mario trova nel giovane Marco Maffei, uno skipper che gira per il lago Maggiore con la propria imbarcazione, in attesa di decidere che fare della sua vita, la chiave per dare una scossa alla propria vita: girare per il lago in cerca di qualche avventura sessuale è la cosa che appaga di più Mario che però cova anche un profondo desiderio per la giovanissima ed affascinante cognata, Matilde, che vive nella villa con Cleofe, sposata per corrispondenza con il fratello di Cleofe di cui si sono perse le tracce da anni durante la Campagna d'Africa. Improvvisamente gli eventi precipitano: un barlume di attrazione tra Marco e Matilde viene smentito da Mario, che assicura di avere già una relazione con la giovane cognata e che sfrutterebbe un'altra uscita in barca affinchè possano consumare un rapporto sino ad allora nascosto; il giorno dopo, mentre il gruppo si trova in una delle località lacustri, arriva la notizia della morte di Cleofe: annegata nella darsena della propria villa. La ricomparsa del marito di Matilde, che aveva volutamente fatto perdere le proprie tracce dopo essere stato evirato dagli etiopi, e i sospetti di Marco sull'aver intravisto Mario in bicicletta la sera del delitto daranno un esito ben più drammatico alla vicenda.
Con una sicurezza da film giallo Risi ripercorre piuttosto fedelmente la vicenda narrata nelle pagine scritte da Chiara. Tognazzi non si tira indietro verso nessuna performance spregevole: malizioso, goloso (soprattutto di maionese) ed impenitente, Orimbelli è l'incarnazione perfetta di un personaggio meschino e schiavo della ricerca di continui piaceri; persino una volta ottenuto il cospicuo patrimonio ereditato da Cleofe, aver coronato il matrimonio con la splendida Matilde, egli si sente insofferente tanto quanto prima. E di nuovo cerca in Marco un alleato per evadere dalla consuetudine. Estremamente toccante, nel sua bassezza, la scena finale in cui viene aperto il baule di Mario con i "reperti" provenienti dalle sue scorrerie in Africa. Ottimi anche Patrick Dewaere ed Ornella Muti in ruoli sotto le righe ma molto incisivi. La villa Cleofe in cui è ambientato il film si trova a Stresa, ormai in uno stato di totale abbandono e divorata ampiamente dalla natura, priorio di fronte all'Isola Bella.
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