Regia di Dino Risi vedi scheda film
La verità, talvolta, è come una secchiata di acqua di lago: fredda e chiara in superficie, torbida nel fondo. E' la maschera più efficace per le piccole bugie riposte, per le minuscole omissioni che in tanta sincerità si perdono, e che di fronte alla luminosità dell'evidenza rimangono, inosservate, nell'unico angolino buio. In questo giallo l'elemento da scoprire non è, come di solito, un complesso intreccio, un sistema di relazioni che colleghi i vari indizi in un impianto logico completo; il mistero da riportare in luce è, invece, un singolo dettaglio, appena intravisto, però decisivo, la cui rivelazione è in grado di rovesciare totalmente l'interpretazione degli eventi. Lo stesso personaggio di Telemaco Mario Orimbelli è l'emblema di una chiassosa platealità che sottende il complotto silenzioso, di una vistosa nullafacenza che copre un'indefessa operosità nell'ordire trame, di un'apparente idiozia in cui l'acume sprofonda come uno spillo in una pozza di fango. La stanza del vescovo, un reliquiario dall'aspetto lussurioso, è, a sua volta, l'immagine della falsità che grida, della morte (della morale) che si tinge dei colori sgargianti della vita, della gioia e della leggerezza che fanno da rivestimento ad un abisso interiore: lo stesso che cova sotto l'innocente bellezza di Matilde, dietro i suoi occhi cerulei e le sue guance rosate. Questo film parla dei segreti annosi che, sia pur dimenticati, finiscono per fiorire e cambiare il volto alla realtà, come la vegetazione che prolifera, col tempo, sulla parte sommersa di una barca.
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