Regia di Dino Risi vedi scheda film
La dedizione per la fica (a parte quella della moglie, of course) del personaggio interpretato da Ugo Tognazzi è a dir poco assoluta. Egli si commuove davanti alla visione del vello pubico di un paio di belle ragazze straniere e si nasconde in uno di essi nell’attimo in cui teme la morte, quale paradiso migliore lo potrebbe attendere? Il triangolo, non solo come figura geometrica, sembra ossessionare il nobiluomo che usa un giovane giralago come lato dei suoi laidi piani da lestofante seduttore per accaparrarsi le grazie della attraente cognata (gli occhi della Muti ti lacerano l’anima), come dargli, dunque, torto. Tognazzi impreca, bestemmia, scalpita quando accusato dell’omicidio della odiata consorte e costruisce le sue trame da erotomane impenitente, succhia le dita di impuberi adolescenti per insegnargli dove soffia il vento e si concede il lusso di seguire ogni scia che lo potrebbe portare nel tanto agognato giardino delle delizie. Questa tenacia all’assalto sessuale, al libertinaggio più spudorato, lo porta in un territorio maschile quasi di aberrazione esistenziale, di totale dipendenza dai propri impulsi libidinosi, non c’è nulla che lo fermi, magnifica la sequenza in cui apre il cassettone nella stanza del vescovo in cui tiene i suoi residui di guerra: intimi femminili, peluria abissina, un enorme cazzo intagliato nel legno. Quanto più la vita ci lascia tanto più la ricerchiamo, farlo fra le gambe di una donna, ad una certa età, può diventare patetico quanto inutile, perché la vera bellezza è in ciò che il corpo racchiude e solo il cuore può vedere e capire.
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