Regia di Rob Reiner vedi scheda film
I sapori dell’adolescenza. Anzi, qui forse si focalizza l’attenzione in quel particolare momento che segna il passaggio dall’età adolescenziale a quella della maturità. Lo spettatore del 2008 si potrebbe chiedere: ma come, non son troppo giovani? Contestualizziamo: siamo nel 1959, in un’America ancora un po’ rurale ma sulla via del progresso. I protagonisti sono i figli di coloro che fecero la guerra (il padre di uno di loro sbarcò in Normandia). Hanno gli anticorpi della crescita. Vuoi anche anticipata. Ma fino ad un certo punto è anticipata. I quattro protagonisti sono “nel pieno della giovinezza”, vivono i turbamenti peculiari del periodo esistenziale, hanno le prime crisi affettive. Il padre che non capisce il riservato figlio, l’altro rinchiuso in manicomio, il rapporto con il mondo adulto, il confronto con i ragazzi più grandi (e pericolosi). E il primo incontro con la morte.
La morte è una cosa brutta, ma non così brutta come può apparire ad un fanciullo, un uomo in costruzione (forse non ancora uomo). Non è la storia di un’adolescenza negata, perché è vissuta appieno, finanche nei suoi aspetti più duri e infami. È invece il racconto di una ribellione verso il mondo adulto: quasi a reprimere i ragazzi più grandi a diventare peggiori dei loro genitori, c’è una pistola che vorrebbe soffocarne il futuro. Non sparerà, anche perché probabilmente chi la impugna non è capace, non tanto a premere il grilletto, quanto proprio ad uccidere. Ci sono le domande stupide eppure geniali che arricchiscono le conversazioni puerili (“Ma Pippo cos’è?”). Ci sono i simboli di un tempo che corre verso la vita (il treno in primis). C’è la formazione, la preparazione all’esistenza più difficile: alla fine del viaggio (breve) la piccola città che sembrava il mondo intero pare ancora più piccola.
Il motivo è presto detto: gli occhi con i quali erano partiti non sono gli stessi con i quali sono tornati. Cosa è accaduto in quei due giorni, simboleggianti l’unità di tempo dell’estate? Sono cambiati, semplicemente. La conclusione è struggente. “So che mi mancherà. Sempre”. A morire è colui che meno ti aspetti (risponde alla retorica regola del “se ne vanno sempre i migliori”). Un film di ricordi, ispirato a The body di Stephen King (il corpo che esprime l’incontro con la morte, dunque la crescita), abitato da dodicenni con tutta la vita davanti eppure illuminati da una irrimediabile malinconia (fossero più maturi dei “più grandi”?). Credo che qualunque ragazzo potrà trovare qualcosa di sé dentro questo amaro, delicato, appassionato racconto di una formazione sentimentale ed umana.
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