Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film
Cos'è la "Zona"? Cosa rappresenta la "stanza" all'interno di tale luogo, dove si dice essere in grado di esaudire qualsiasi desiderio? Andrej Tarkovskji si dimostra assai avaro di risposte, così come gli stessi personaggi; lo "Staker/Guida" (Aleksandr Kajdanovskij), lo "Scrittore" (Anatolij Solonicyn) ed il "Professore" (Nicolaj Grinko).
Un perfetto triangolo equilatero, dove gli scambi dialettici di matrice filosofica-antropologica, rimbalzano tra i vari angoli, senza trovare certezze fisse; come lo è del resto la stessa "Zona" in perenne trasformazione.
"Tutto scorre", perché come disse Eraclito "non si può mai discendere due volte nel medesimo fiume" e quindi la materia non risulta mai uguale a sé stessa, a causa della velocità del suo mutamento.
La "Zona" diventa quindi il concetto mondo teorizzato dal grande filosofo pre-socratico. La via per raggiungere la "stanza" non è mai quella più breve ammonisce lo "Stalker" ai propri compagni viaggiatori, nonché una volta presa una "direzione non si può mai tornare indietro". Questo luogo onirico-etereo recitato da sbarre e presidiato all'esterno dai militari, non può che far assumere su di sé un significante alle immagini, che vada oltre la propria tautologia, divenendo la sede del mondo interiore degli individui.
"Stalker" (1979), porta avanti la carrellata dall'alto di "Solaris" (1972), espandendo tale concetto ad un’intera pellicola, che racchiude in sé per la prima volta il concetto di "cinema dell'immanenza".
Tarkovskji indaga, con lo stesso fare dubitativo-dialettico dei propri personaggi, quello che è dentro l'essere in quanto tale, disvelando le infinite possibilità magmatiche date dai mutamenti della coscienza umana.
Secondo Eraclito "l'archè" di tutte le cose era il "fuoco", in quanto elemento vivo ed in un continuo movimento, sempre diverso dal precedente pur essendo uguale a sé stesso. Eppure, nonostante venga inquadrato solo una volta dall'alto, Tarkovskji sembra farne suo il simbolismo in esso racchiuso; ovvero il porsi come causa increata.
Tale "Dio-tutto" è in ogni cosa del creato, comprendendo in sé la totalità. Una congettura quindi è che la "Zona", sia un essere senziente, immerso nel continuo processo distruttivo-creativo senza fine, come la ciclicità dell'universo stesso (quindi di riflesso le profondità della coscienza umana), in un eterno ritorno, dove tutto esiste da sempre e per sempre.
Tarkovskji rende propri i frammenti pervenutaci degli insegnamenti di Eraclito, concependo il tempo in una struttura circolare - inizio e conclusione coincidono, così come sono speculari le scene in b/n ed a colori adoperate due volte ciascuna nell'arco del film -. Il cineasta russo pur recedendo dalla totale frammentazione del flusso delle immagini del precedente "Specchio" (1975), ne aumenta l'aleatorietà di esse, con una narrazione dai dialoghi talvolta criptici e dall'inafferrabilità di fondo del "Logos", allontanando lo spettatore non predisposto alla visione, in modo da far immergere i restanti nelle profondità più oscure dell'immanenza.
Il mondo esterno rappresentato in modo fatiscente e stagnante, risulta corroso e privo di vitalità, accentuata dall'utilizzo della fotografia seppiata, che lascia spazio al verde incontaminato quanto irreale, dopo la lunga carrellata che unifica l'esterno con l'ingresso nella "Zona". Il cambiamento della prospettiva del mondo, si riflette in una nuova colorimetria e quindi un modo per ragionare di concetti del "di fuori", giungendo a conclusioni differenti.
Talete, il primo filosofo della storia, vedeva nell'acqua l'origine di tutto.
Di tale elemento liquido il film ne è pregno; da quella "esterna", stagnante quanto maleodorante nella "stasi" delle pozzanghere, passando per quella limpida ed in continuo scorrimento della "Zona", racchiudendo in sé la memoria di ciò che un tempo fu, in contrasto con lo squallore degradante della civiltà tecnologica-industriale della Russia presente.
Monete, pezzi di giornali, oggetti religiosi e così via, vengono inquadrati dalla lunga carrellata dall'alto, mentre in sottofondo scorre un brano dell'apocalisse di Giovanni. L'umanità andando avanti, ha spazzato via i vecchi regimi, così come il ruolo di Dio nella storia. Facendo ciò si è smarrito tutto un patrimonio di tradizioni soprattutto di irrazionalità, che secondo Tarkovskji rendevano il mondo più misterioso ed inafferrabile rispetto ai giudizi netti tratti troppo facilmente da personaggi "cinici" come lo "Scrittore" o "razionali" come il "Professore".
Il materialismo edonista sì è impadronito della coscienza degli uomini, incapaci di comprendere sè stessi nel profondo. Ciò che si desidera non è realmente ciò che si vorrebbe. Vedere la propria "limitatezza e finitezza", può portare a conseguenze nefaste, in quanto la manifestazione del proprio "Io", verrebbe percepita solo in un'ottica trascendentale e quindi esterna al soggetto stesso, incapace di reggere il responso della sua vera natura interiore.
La "stanza", rappresenta un non-luogo di illusioni, speranza e vanagloria, tutto ciò che rimane allo "Stalker", attanagliato da un malessere perenne al di fuori di tale luogo, consiste nel porsi come guida, portando nella "Zona" altrettante persone non felici proprio come lui stesso, in cerca di facili scappatoie tramite la possibilità di desiderare.
La materialità ingannevole offertaci dalle molteplici possibilità del desiderio, viene seccamente respinta da Tarkovskji, interessato a chiudere tale capolavoro filmico, con il ritorno alle forze immanenti più irrazionali; la fede e l'amore - quest'ultimo propugnato dalla moglie dello "Stalker" -, come antidoti di "resistenza" nei confronti di un mondo moderno cinico, materialista e moralmente vuoto; per questo destinati alla caducità a favore della riesumazione degli opposti, ovvero l'immateriale di cui sono fatti sentimenti.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori del cinema : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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