Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Inizio metacinematografico, con la voce off di uno dei personaggi che annuncia un film ambientato in un campo di prigionia. Wilder ci tiene a marcare subito la distanza dai cliché del genere: il tono è leggero, il clima idilliaco (assolutamente sproporzionato il titolo italiano alternativo L’inferno dei vivi), i carcerieri sono caricaturali, c’è persino un cenno di commedia dei sessi con gli stratagemmi su come avvicinare le prigioniere russe del campo adiacente. Nel primo tempo ci si sente un po’ a disagio, per la palese inverosimiglianza della confezione; poi viene fuori il personaggio di Holden, trafficante e cinico, che non vuole fare l’eroe e che decide utilitaristicamente di smascherare la spia solo per salvare sé stesso. Ed è una nuova lezione di cinema da parte di Wilder, che anche in un’ambientazione così particolare riesce a trattare temi a lui cari: l’ambiguità sessuale (la scena di ballo tra i due commilitoni, uno dei quali sogna di vedere Betty Grable nell’altro travestito da donna, è un assaggio di ciò che faranno Daphne e Josephine), il contrasto tra apparenza e realtà (l’innocenza e la colpevolezza sembrano chiaramente distinguibili, come sarà per Charles Laughton in Testimone d’accusa, e invece non è così).
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