Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Quale sarà l’evoluzione narrativa del film Stalag 17 (più esattamente Stalag 17 B) ce la racconta, fuori campo ed all’inizio, lo stesso Billy Wilder.
“Non so cosa ne pensiate voi, ma io ne ho abbastanza di tutti questi film di guerra, bombardamenti aerei, prodezze di sottomarini e guerriglia nelle Filippine. Quello che invece mi stupisce è che ancora siano così pochi i film che parlano dei prigionieri di guerra. Beh, il mio nome è Clarence J. Cook, ma mi chiamano Jackie, sono stato abbattuto si Maxinburgo, in Germania, nel ’43, ed ecco perché balbetto un po’, specie quando sono agitato. Ho passato due anni nello stalag 17. Era in una località presso il Danubio (in realtà vicino al villaggio di Gedernsdorf, provincia di Krems, in Austria). Conteneva circa 40.000 prigionieri di guerra e tra questi c’erano russi, polacchi, cechi. Nel nostro gruppo eravamo 630 americani, tutti dell’avviazione, radiooperatori, mitraglieri , motoristi e tutti sergenti. Immaginate un po’ 630 sergenti messi insieme, un’autentica ira di Dio. Non c’era davvero un clima da festa in famiglia. Basterebbe ricordare quella volta che scoprimmo una spia nella nostra baracca. Era la settimana prima di Natale del ’44 e due dei nostri, che si chiamavano Manfredi e Johnson avevano deciso di tentare la fuga.”
Così comincia il film. La fuga preannunciata viene portata a termine. Ma appena usciti dal tunnel i due prigionieri sono spietatamente uccisi dai tedeschi che, evidentemente, erano a conoscenza del piano. Pur cominciando con un evento drammatico, Wilder impone subito un tono leggero, sdrammatizzante, adatto al proseguimento della narrazione nei modi e nell’evoluzione che si è imposto. Sull’esito della evasione c’erano state grosse puntate, a base di sigarette (unica moneta di scambio) e vista la conclusione sorge prepotentemente il dubbio della presenza di un informatore dei tedeschi nella baracca. Così, passato l’inevitabile shock della morte dei due connazionali, Wilder cerca di descrivere la vita nella baracca, soffermandosi nel descrivere le caratteristiche dei componenti di questa piccola comunità. A parte la forza d’animo del capo baracca e del suo aiutante, mette in luce alcune figure umane, lasciando la maggior parte degli altri prigionieri in ombra. Ottimi caratteristi svolgono un ruolo importante. Da ricordare Joey (R. Stone) che, oppresso dalla morte di tutti i compagni di volo, si rifugia in uno stato depressivo, quasi a voler rimuovere quella visione, passando il tempo assente e suonando melanconicamente un’ocarina. Il sergente Stanislaus “caprone” Kuzeva (E. Strauss), con il suo amico Shapiro (H. Lembeck), innamorato di Betty Gable (il cui poster riempiva gli armadietti di gran parte della truppa americana). Il sergente J.J.Sefton (W. Holden), astuto, abile, in grado di procacciarsi, mediante scambio di sigarette con le guardie, le cose più introvabili, gestore assoluto del tempo libero dei compagni mediante attività di brocheraggio, di corse dei topi, di fornitura di alcolici ottenuti dalla fermentazione delle bucce di patata, di capacità di sollevare la fantasia dei colleghi permettendo di vedere, a pagamento, le finestre appannate del campo adiacente ove facevano la doccia molte prigioniere russe. Uomo d’affari, distaccato, forse cinico, ma essenziale in una comunità oppressa dalla limitazione della libertà, dai ricordi familiari, dalla fame, dalle angherie subite dai guardiani. Per questo suo vantaggio è subito individuato come la spia della baracca, un po’ per invidia del suo potere, un po’ per i rapporti che tiene con i tedeschi. Ma Wilder non si sofferma solo sui prigionieri. Crea la figura, non stupida, ma crudele e prevaricante del comandante del campo: il colonnello von Scherback (uno straordinario O. Preminger, in una delle sue rare apparizioni come attore), e quella invece stupida del maresciallo Schultz (S. Ruman) sovrintendente alla baracca. Secondo i titoli di testa, il film è tratto da una “novel” di D. Bevan e E. Trzcinsk. In realtà si tratta di una “piece” teatrale di tali autori, che ha tenuto banco negli anni ’50 a Broodway. E questa notizia è qualificata considerando che le riprese vengono per lo più eseguite, come su un palcoscenico, all’estremità della baracca, in campo lungo,con un b/n più tendente al grigio e non a netto contrasto, più adatto a film ad alto contenuto drammatico. Alcune delle scene di Stalag 17 sono state riprese anche da altri film di analogo argomento (la botola del tunnell per le evasioni situata sotto la stufa, la distillazione di grappa dalla fermentazione delle bucce delle patate), ma nessuno ha inventato niente. I tunnel sono descritti dalle deposizioni dei prigionieri fatte alla loro liberazione e tale tipo di distillazione era in uso in Polonia e nei Balcani anche prima della guerra. Sinceramente suonano strane le parole del recensore di FILM.TV: “ritratto terribile di americani cinici e immorali”. Si parla di uomini che ben conoscono il loro futuro incerto, angariati, affamati, oppressi dalla morte dei loro compagni, pieni di nostalgia per i cari lasciati in patria e che cercano di farsi forza, giornalmente, rifiutando di cadere in preda alla disperazione. Il film è ben condotto, senza cadere in una troppo facile drammatizzazione e, quando gli eventi raccontati, smuovono al riso, sia pure a denti stretti, non vuol dire che Wilder abbia voluto scherzare con faciloneria su un argomento tanto importante. Voto 8,5
Il grande regista non si smentisce e confeziona un'opera ricca di umanità in tono leggero pur di fronte ad un argomento tragico
Prova attoriale eccellente, meritevole (per quel che vale) dell'Oscar
Molto bravo ed anche se non ho mai accennato a lui per non dare informazioni sel tessuto narrativo, resta una delle figure più rappresentative della storia
Pur negli inconsueti panni di attore, dimostra "al di là di ogni ragionevole dubbio" le sue capacità di saper interpretare un personaggio cardine del film
Grande caratterista visto in diversi film e sempre con ottime capacità attoriali
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