Regia di Olena Fetisova, Serge Avedikian vedi scheda film
La ricerca della bellezza può essere una malattia. Il regista Sergei Paradjanov (1924-1990) era convinto che così fosse, almeno per lui. La voleva vedere ovunque, nella luce della realtà, o con gli occhi della fantasia. Le sua storie parlavano attraverso i colori preziosi ed i gesti eleganti. Era un esteta della verità, soprattutto di quella dimenticata o di quella impossibile. Si trovava in conflitto col presente – lo stato sovietico – perché credeva solo nel passato e sognava un futuro in cui migrare lontano. Più che un artista dissidente, Paradjanov era un uomo di un altro tempo, di un altro luogo. Un senza terra la cui vita ha attraversato tre nazionalità: ucraina, georgiana, armena. Per libera scelta, o per forzata necessità. È stato vagabondo e prigioniero. Ha alternato un assorto silenzio da mendicante alle urla rabbiose di un visionario megalomane. Ha dormito solo per sognare, ed è stato sveglio solo per vedere e (ri)creare. Questo biopic ci ripropone la sua arte come tormento narrante, che ritorna alle origini per riscoprire un’armonia dolorosamente perduta. Tendere verso quel mondo ormai inesistente significa abbracciare una diversità radicale, avvertita come provocatoria e trasgressiva dall’ambiente circostante, ed intesa come l’opera instancabile di un’invenzione che combatte senza sosta contro il conformismo, la noia, la banalità. Paradjanov tagliava e cuciva frammenti di pensieri. E infatti questo film è un collage di istanti rubati al suo travaglio di "genio incompreso"; un discorso spezzato, che è, più che altro, uno zigzagante percorso della volontà, della determinazione a non lasciarsi sopraffare dai paradossi e, anzi, usarli per costruire il nuovo. È inutile insistere sui principi: un'idea si sfiora, se piace la si accarezza, ma poi la si molla, per dire no e guardare oltre. Immaginare è un esercizio di elasticità e leggerezza, un balletto sulle punte, un volteggiare di mani che si piegano come ali d'uccello. È bene che anche l'espressione della Gioconda abbandoni la sua fissità, e si esibisca in una serie di smorfie buffe e improvvisate. Il tratto comune fra una bambola rotta gettata in una fontana e un pesce eviscerato con le mani è la brutale evidenza che sfata il mito della perfezione come un'immobile completezza di superficie. La vera magia è un contrasto danzante. Soldati che arrancano contro pecore in fuga. Gli opposti si toccano appena, come amanti svogliati, incerti sull'attrazione che provano, ma desiderosi di conoscere l'altro da sé. L'identità è la somma delle ambiguità. Il poeta Sayat-Nova de Il colore del melograno era un ermafrodito poliglotta. Un pioniere della rivoluzione. Perché provare ad essere è l'unica avventura che non finisce mai.
Paradjanov ha concorso, come rappresentante dell'Ucraina, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
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