Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Nei luoghi e nelle ore del cinema passato dei Taviani. Si ha questa sensazione nel primo quarto d’ora: scorci storici e paesaggi già visti in SAN MICHELE… o LA NOTTE DI SAN LORENZO, un albero “feticcio” solitario, Giovanni Guidelli in un cameo d’appestato. Già la peste, che nel 1300 falcidiò Firenze. Dieci giovani decidono di lasciare la città per rifugiarsi in campagna. Ivi si racconteranno ogni giorno una novella. E’ questo l’incipit de IL DECAMERON e del MARAVIGLIOSO BOCCACCIO a firma Paolo e Vittorio Taviani.
Storie di morte e resurrezione, d’amore e di burla. Monna Catalina viene data per morta, ma era un caso di morte apparente. Abbandonata dal marito Niccoluccio rinasce sotto le cure di Messer Gentil de’ Carisendi, da sempre suo spasimante. Episodio cupo e malinconico interpretato da Flavio Parenti, Riccardo Scamarcio e una Vittoria Puccini di poche parole e dalla figura angelicata, Botticelliana.
Nella seconda si narra dello scherzo compiuto da Bruno e Buffalmacco a Calandrino, servo sciocco a cui viene fatto credere di essere invisibile. Episodio fiacco e con Kim Rossi Stuart fuori parte.
Si vola alto con la vicenda di Ghismunda, giovane vedova figlia di Tancredi che si innamora di Guiscardo, valletto del padre, di umili origini e animo nobile. Scoperta la relazione il principe di Salerno decide di far strappare il cuore al giovane e riporlo nella coppa d’oro creata e donata per la figlia dal talentuoso Guiscardo. La terribile vendetta paterna si ripercuoterà su di lui perché Ghismunda si ucciderà per il dolore. Bravi i tre interpreti: Lello Arena, Michele Riondino e Kasia Smutniak, lei davvero bellissima. Forse con l’ultima è la più riuscita delle cinque trasposizioni boccaccesche rappresentate.
Riuscita, arguta e beffarda quella che ha per protagonista il monastero di monache, con al centro delle loro licenze erotiche Isabetta, scoperta dal buco della serratura (un topos maschile del cinema dozzinale “boccaccesco” degli anni settanta) in braccio a un bel giovine. Verrà tollerata dalla badessa Usinbalda con le brache d’uomo a mo’ di velo, perché anch’essa rea di peccato o meglio di piacere. Quest’ultima è Paola Cortellesi, perfetta in un ruolo tra il serio e il faceto. Carolina Crescentini brilla di luce propria.
Federigo degli Alberighi con il suo falcone come amico è una storia di umiltà sopravvenute, di solitudini che si incontrano dopo tanto penare, triste come la morte del figlioletto di Monna Giovanna, nonostante il finale positivo. Jasmine Trinca ricorda la dama con l’ermellino di Leonardo, splendida e ispirata. Una pioggia purificatrice lava i ragazzi dalle giornate di assoluto isolamento e dalla narrazione appena conclusa. Chissà se monderà anche la peste. Allegoria immancabile nella prosa filmica dei fratelli di San Miniato.
A essi va dato atto di aver trasposto con severità ed eleganza un classico della letteratura e averlo diffuso ai giovani di oggi, un’impresa coraggiosa che merita plauso, a prescindere dal risultato. Un po’ diseguale e con la sordina all’erotismo pruriginoso che fece fortuna in uno dei tanti filoni dell’industria cinematografica italiana che fu. Non è un demerito, bensì un’altra visione, ricca di gusto pittorico e attenzione nell’esaltare la bellezza rinascimentale di alcune nostre attrici. Oltre a quelle già citate e più famose vanno ricordate Eugenia Costantini, Melissa A. Bartolini e Miriam Dalmazio. Bella fotografia di Simone Zampagni.
Giuliano Taviani e Carmelo Travia tentano di inseguire le irraggiungibili cifre musicali dei compositori cari ai due cineasti toscani, Morricone e Piovani. Non sempre ci riescono.
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