Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
E’ come esserci, ai tempi di Piero della Francesca, in compagnia delle sue esili, slanciate ed leganti figure dai colli lunghi, fra la ricchezza degli abiti del Pisanello e gli sguardi incrociati degli occhi grandi delle figure di Benozzo Gozzoli. Questo è Maraviglioso Boccaccio degli indissolubili Fratelli Taviani, nonostante siamo in un tempo che precede di poco gli autori citati, si é nella Firenze trecentesca colpita dalla peste, il film dei Fratelli Taviani è soprattutto pittura. Nient’altro.
La storia del meraviglioso Decameron la conosciamo tutti, anche per mezzo di fondamentali rimandi cinematografici, uno su tutti, quello insuperabile di Pier Paolo Pasolini. Dieci giovani che si rifugiano in campagna e impiegano il loro tempo a raccontarsi delle storie brevi. Drammatiche o argute, erotiche o grottesche, tutte le novelle hanno in realtà un unico, grande protagonista: l'amore, nelle sue innumerevoli sfumature. Infatti, sarà proprio l'amore a diventare per tutti il migliore antidoto contro le sofferenze e le incertezze di un’epoca.
E’ bello che un film come questo sia proposto in tempi pestiferi come gli attuali, in cui l’odore di morte è in ogni dove. Si dovrebbe fare come i protagonisti del film, all’inizio, tutti addobbati di fiori, per evitare il puzzo che c’è in giro. Aspettare la pioggia, al modo del racconto dei Taviani, che mondi i corpi, i luoghi, le idee e rinnovino Amore.
Attraverso un cast d’eccezione, che raccoglie alcuni dei migliori attori italiani contemporanei, da Kasia Smutniak a Kim Rossi Staurt, passando per Lello Arena, scegliendo fra i più bei luoghi artistici e storici del nostro Paese, i due fratelli registi, Orso d’Oro 2012 a Berlino (Cesare deve morire), realizzano un’opera corale ma che sa poco, pochissimo, di Boccaccio e tanto di altro. E’ evidente che ci sia un gran bisogno di sceneggiatura, in Maraviglioso Boccaccio. Non possono bastare le bellissime immagini, le perfette inquadrature che rimandano alle opere italiane e fiamminghe del tempo, ma che non dicono l’estro, la poesia, l’amore appunto, secondo quel gran genio d’intellettuale che è Giovanni Boccaccio.
A tratta ci si annoia, pur fra tanta bellezza, si rimane interdetti dinanzi a qualche sequenza inutile, forse scappata al taglio del montaggio (la scena con i bambini che si lanciano le mele…). Delle novelle che si raccontano, anche le più divertenti, come quella con Paola Cortellesi, ci sono momenti di visione imbarazzanti. Per fortuna, poi, ci sono gli episodi con il gigantesco Rossi Stuart e quello con la Smutniak, forse gli unici, insieme a Lello Arena a non dare la sensazione di trovarsi di fronte ad una recita teatrale. E’ un peccato che “quando Bacco trionfa il pensier fugge”, se si tiene conto il costo di un’operazione cinematografica come questa, che sarebbe potuta diventare un’opera importante per ristabilire anche i criteri di selezione, rispetto ad autori classici e alla riappropriazione orgogliosa di un patrimonio culturale. Ma questo non é. E alla fine della visione di questo film che scivolerà nel dimenticatoio del cinema (a salvarlo potranno contribuire solo gli insegnanti che ‘portano’ senza far ‘guardare’ davvero i film ai loro studenti), la tentazione è forte di tornare a riguardarsi, come sempre fosse la prima volta, quel gran capolavoro di Pier Paolo Pasolini, Decameron, che dal ’71 aspetta tanti ancora che lo possano vedere.
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