Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Ha ben poco di "maraviglioso", l'ultima fatica dei Taviani. Da meri esecutori/adattatori d'un esangue compitino - "libera" trasposizione dal Decamerone, ma avrebbe potuto esserlo di qualsiasi altra gloriosa opera di lontane ere -, i due fratelli registi/sceneggiatori celebrano il mito boccaccesco in chiave nostalgica. Una lettura, banalmente calligrafica, che si ferma alla/sulla superficie di istanze e tematiche della fonte, (e)semplificate attraverso modalità espressive stantie, scarnficate di qualsivoglia elemento sperimentale o connessione con l'oggi; come se ad essere importante fosse solo inseguire e inscenare l'effetto, il gusto per la trovata.
Ma sin da subito - da quell'incipit in teoria tetro, oscuro, in realtà fatuo, elegantemente paratelevisivo, mentre la colonna sonora scarica note sinfoniche "drammatizzanti" che stridono, e non poco - si comprende l'anima da esercizio di stile, la natura didascalica. Ricostruzione - d'ambienti, narrativa, scenica, poetica - per certi versi impeccabile e impeccabilmente sterile, votata ad un autoreferenziale anacronismo.
La struttura episodica, i cui tasselli non hanno validi punti di collegamento (se non la loro fattura cronachistica), non aiuta, mentre i singoli capitoli - alcuni più riusciti (si fa per dire) altri scadenti - tendono alla barzellettistica (tra tutti quello conventuale, abitato da una mai credibile Paola Cortellesi); e questo non per colpa di Boccaccio, evidentemente. È la mancanza, semmai, di uno spirito critico, di sincere esigenze comunicative.
Affidandosi a modelli e ritratti fuori (dal) tempo, i Taviani - al contrario, e per usare un comodo inevitabile paragone recente, di quanto fatto da Mario Martone con il Leopardi ne Il giovane favoloso - non riescono ad andare oltre una rappresentazione piatta, vuota, incapace di parlare del - e dialogare con il - presente. Presi probabilmente per la gola dal prestigio degli autori, gli stessi attori si conformano all'asettico andamento, a cominciare dal gruppetto di giovini novellatori (oltremodo inefficaci ed irritanti), ma che riguarda anche nomi noti, in bilico sullo strapiombo del ridicolo (Cortellesi, Rossi Stuart, Scamarcio).
Alla fine, non rimane nulla del Maraviglioso Boccaccio, fuorché interrogarsi sul senso dell'operazione.
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