Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2015 – SEANCE SPECIALE
Un inizio fulminante, teso e concitato, molto insolito se un po’ si conosce il cinema del regista marsigliese di origini armene Robert Guédiguian. In un bianco e nero molto efficace un efferato omicidio a sangue freddo apre violentemente la scena, che procede concitata anche quando la vicenda si rinchiude nell’aula di un tribunale nella Berlino del 1921: la vendetta del ribelle armeno Soghomon Thelirian, sopravvissuto allo sterminio della famiglia, si consuma per la strada, davanti a molti testimoni. Un colpo a bruciapelo toglier la vita al boia Talaat Pacha, uno dei principali responsabili del genocidio armeno.
Dal processo l’uomo, omicida in flagranza di reato e con gesto premeditato, non solo riesce a non farsi condannare, ma ne esce come un eroe.
Sessant’anni dopo un giovane marsigliese suo discendente, Aram, compie un attentato all’ambasciatore turco in Francia: a farne le spese in realtà è un giovane passante, che rimane invalido. E mentre l’attentatore si unisce all’Armata di liberazione Armena a Beyrouth, la madre del giovane, Anouch (Ariane Ascaride), distrutta dal senso di colpa, si avvicina al ragazzo diventando quasi una sua seconda madre.
Un epilogo sanguinoso porrà fine nel modo peggiore ad una vita spesa tra le fila di dissidenti devastati dal senso di vendetta: ed infatti vendetta, perdono, senso di colpa, il filo della memoria che dovrebbe servire per non ripetere gli errori del passato ed imparare dagli sbagli già intrapresi, sono tutti i temi nobili e complessi che Guédiguian affronta in questa sua sceneggiatura da tempo meditata e ricavata liberamente dal libro autobiografico La bombe di José Gurriaran.
Il problema del film è quello di non saper bilanciare, dopo un bellissimo incipit giudiziario da circa 20 minuti, una seconda parte che segue le vicende degli eredi dell’eroe dell’evento iniziale, ma che vira troppo velocemente e sgraziatamente al melò, vanificando almeno in parte l’atmosfera tesa ed e concitata che caratterizzava i primi minuti.
Pertanto il film rischia di inciampare sui facili tranelli del senso di colpa che affligge la piccola ma tenace ed onesta Anouch, resa peraltro in modo coerente da una ispirata e fedele Ariane Ascaride, da decenni attrice feticcio del regista marsigliese: il suo un ruolo “da Magnani”, che tuttavia si sgretola un po’ per via di qualche accumulo dolciastro e un po’ ricattatorio che toglie fiato e ritmo alla messa in scena.
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