Regia di Alessio Maria Federici vedi scheda film
Il modello della neocommedia all’italiana, quando si svincola dagli stereotipi regionali, sembra incapace di trovare un altro sguardo sul paese: si butta l’occhio, allora, oltreoceano, a modelli statunitensi sempreverdi. L’opera terza di Federici inizia come un Rain Man in chiave comica, con lo scapigliato Argentero a occuparsi di un momentaneamente ritardato Raoul Bova, e si chiude con un monologo-dichiarazione alla Jerry Maguire: in mezzo, in una commedia sentimentale talmente slegata dal contesto socioculturale che il product placement risalta come luminol sulla scena di un delitto.
Lo smemorato fratello maggiore è affidato in custodia allo svogliato minore, ma il plot accantona presto la memoria familiare perduta per concentrarsi sul buddy movie, con il casanova Francesco (che di mestiere, altra incongruenza tutta ammerigana, fa lo stuntman per gli inseguimenti automobilistici come il Gosling di Drive) che istruisce Pietro, regredito alla preadolescenza, sull’arte di sedurre le donne. Federici asseconda senza guizzi la melassa dello script, ma indovina brillantemente la direzione degli interpreti: corpi attoriali «con la faccia da bravo ragazzo e lo sguardo da figlio di puttana», Argentero e Bova sono molto più a loro agio in vesti comiche di quanto lo siano mai stati in quelle drammatiche/action. L’uno in versione Romain Duris nostrano, l’altro in una vincente parodia di se stesso, impegnato a simulare lo “sguardo intenso”, funzionano più dello script.
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