Regia di Alessio Maria Federici vedi scheda film
L'idea di riunire i due attori più belli del cinema italiano rendendoli fratelli - fisicamente anche credibili e pertinenti – antitetici, discordi e rivali, opposti per carattere, cultura ed interessi, poteva anche avere una sua logica ed un suo interesse strategico, commerciale, nonché accattivante e inedito.
E Raul Bova a dire il vero, nel ruolo del vanesio e odioso brillante medico Pietro che, a causa di un incidente stradale, perde completamente cognizione di sé regredendo allo stato di un bambino di sei anni, si impegna davvero tanto, al punto da risultare quasi del tutto convincente, specie all'inizio, quando la metamorfosi prende atto nel suo odioso ed irresistibile personaggio, ed un candore fanciullesco che non ha mai abitato nel suo corpo prende a scorrere nelle sue fino a poco prima smaliziate vene di adulto, tornato di colpo bambino.
Per Argentero, che qui interpreta il ruolo del fratello minore e ribelle, ma in fondo più onesto ed umano, Francesco, stuntman spiantato che, a differenza dell'altro, non è voluto mai veramente crescere, nel senso di assumersi le responsabilità di una famiglia regolare, preferendo il ruolo del tombeur de femme - ruolo quest'ultimo, altrettanto sfaccettato – la parte non desta alcuna preoccupazione in grado di non essere affrontata dalla poliedricità di uno degli interpreti più validi del panorama cinematografico odierno; un attore in grado di dimostrare – e lo ha già fatto, ma certo altrove – di non essere solo il bello senz'anima che dura qualche anno e finisce in naftalina.
Il problema grave di Fratelli Unici è la piattezza, la banalità di scrittura, della sceneggiatura che sorregge tutto l'apparato: una storia che parte da due capisaldi - i fratelli antitetici appunto - anche stabili, per perdersi e sgretolarsi sui sentieri facili del buonismo e del lieto, anzi lietissimo, inconsistente finale dove tutti, ma proprio tutti, finiscono per vivere felici e contenti.
Peccato perché una prima parte, anche qua e là animata da qualche guizzo comico, dimostrava una certa verve, che soccombe presto nel tentativo kamikaze di trovare una soluzione ottimale per ognuno dei protagonisti o di chi gira loro attorno.
Troppi finali accatastati uno sull'altro (anche la figlioletta di Bova e Crescentini che vince la borsa di studio che sponsorizza spudoratamente un nostro gestore di energia e ci fa la morale a base di pesci rossi ed energie alternative è proprio agghiacciante!) e un generale masochistico senso di pigrizia che sembra abbia aggredito sceneggiatori e produttori, che operano sempre più a tavolino, immaginando che alla gente ormai, inguaribilmente ammalata di cattiva televisione, si possa propinare qualunque becera ma rassicurante favoletta inzuppata di stomachevoli lietofine. I titoli di coda con le papere delle scene tagliate sono la conferma, se vogliamo demoralizzante se non drammatica, che la televisione invade ed uccide il cinema ormai senza alcuna pietà o pudore. E da ridere resta veramente poco.
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