Regia di Noël Dernesch, Moritz Springer vedi scheda film
Tutte le strade portano a Kingston, Giamaica, almeno per chi resta folgorato dai battiti in levare. Gentleman, per esempio, che all’anagrafe (in Germania) fa Otto Tillman, ci va più di una volta l’anno, e nello specifico di Journey to Jah (doc a firma di due videomaker svizzero-tedeschi, finanziato con un crowdfunding internazionale) lo fa per confezionare il brano omonimo con l’amico e collega Alborosie. Il quale, secondo la carta d’identità (italiana), si chiama Alberto D’Ascola, ma dopo aver sfondato con i Reggae National Tickets, è partito verso i Caraibi con 2000 dollari in tasca e l’intenzione di ricominciare da zero. Gentleman e Alborosie, nonostante le origini europee, sono superstar di reggaeton e dancehall (evoluzioni recenti del roots-reggae marleyano) e pedinarli è un mezzo efficace di ricostruire un mosaico complesso, insieme seducente e contraddittorio: i tramonti scendono lenti su un paradiso da videoclip in cui grandi e piccini si scatenano al ritmo di sound system improvvisati, ma il sole risorge livido sopra un deserto sociale fatto di catapecchie e di lotte in strada tra gang armate; la religione rastafari vibra nell’aria con la sua doppia lama di spiritualità e dogmatismo; la musica è un mistero che impasta insieme tutto: speranza, gioia, rabbia, ribellione, ascetismo, omofobia, misoginia, accettazione, amore universale. Il film di Dernesch e Springer non ha certo lo spazio o la possibilità di approfondire tutto, ma possiede il grosso pregio di non celare nulla.
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