Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
Lo capisci subito quali sono le “anime nere”, perché hanno il volto scuro e cupo e sono avvolte dal buio che domina, le ingoia senza dargli via di scampo. Tre fratelli, due “anime nere” e uno che da questo buio che ingoia si tiene ben lontano, fa una vita da eremita tra capre e campagna, finché la vendetta, che proviene da un passato lontano, non suona alla porta e anche lui, nel film sempre avvolto dalla luce, finisce per essere risucchiato dal buio più nero. Lo svolgimento è lento, pesante, scorre come un macigno attraverso un sentiero troppo stretto. Finisci per agitarti sulla sedia, inarcare le sopracciglia, cerchi di capirne il senso di ogni gesto, di ogni parola rigorosamente sottotitolata. Francesco Munzi si insinua nelle tradizioni di una famiglia criminale calabrese dove l’omertà è il fulcro di ogni vita che vuole essere rispettata. La pellicola è troppo oscura, prevale un senso di angoscia costante che tiene lo spettatore fuori dalla storia, resta un osservatore non invitato a partecipare ma obbligato ad osservare senza l’introduzione dei sentimenti.
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