Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
'Anime nere' è il terzo lungometraggio di Francesco Munzi - del quale avevo visto anni fa la promettente opera prima 'Saimir' - ed ha tra i suoi pregi quello di affrontare una classica faida tra famiglie di organizzazioni criminali, spostando l'interesse dal tipico bipolarismo tra Camorra e Mafia, ovvero tra Campania e Sicilia, nell'Aspromonte calabrese, terreno poco toccato dal nostro cinema (ma anche da serie televisive di successo), rispetto agli altri due contesti e di approcciare la storia affidandosi ad un minimalismo cupo, tanto nella resa delle varie sequenze, dove si respira incessantemente una tensione trattenuta ma sempre sul punto di esplodere, quanto ancor più nella recitazione, affidata ad un variegato cast di volti poco conosciuti, tranne Barbora Bobulova, la cui presenza mi pare più ornamentale che funzionale, che, improntata sull'uso del dialetto, vive sui mezzi toni e sul contenimento delle emozioni, le quali rimangono raggelate per gran parte del fim, fino alla deflagrazione finale.
Però, a mio avviso, gli elementi positivi si fermano qui: il plot - un membro di una cosca, con un gesto sconsiderato, dà il via alla canonica lotta senza esclusioni di colpi, agguati e tradimenti vari tra clan differenti da un lato e alla resa dei conti e allo scoppio di tensioni che covavano da tempo all'interno di una famiglia dall'altro - è quanto di più risaputo si possa vedere in un gangster movie, mentre la resa stilistica è lontana non solo dal gusto per l'epica ammantata di tragedia de 'Il padrino' e dall'iperrealismo dei film di Scorsese - modelli a dir poco inavvicinabili - ma anche dal recente e nostrano 'Gomorra' di Matteo Garrone, poiché a Francesco Munzi manca la visionarietà dello sguardo ma anche il senso polifonico, il narrare più storie intersecate tra di loro, dell'autore romano.
Il film di Munzi pare quasi rispecchiare la personalità dei personaggi che racconta, tutti racchiusi in un loro mondo a parte, che appartengono ad un passato da cui è impossibile affrancarsi e produce quindi un modo di fare cinema ostico, di difficile catalogazione anche all'interno delle coordinate di un genere, che ha comunque dato alla nostra cinematografia esiti di ben altro livello.
Voto: 6.
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