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Anime nere

Regia di Francesco Munzi vedi scheda film

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La recensione su Anime nere

di barabbovich
7 stelle

La bravata di un ragazzo dalla testa calda (Fumo) costringe tre fratelli, un trafficante di droga (Leonardi), un uomo d'affari in doppiopetto (Mazzotta) ma con molti soldi sporchi nel conto in banca e il genitore del ragazzo (Ferracane), un allevatore di pecore, a riunirsi nel paese dell'Aspromonte dove abita quest'ultimo per sanare la faccenda con una 'ndrina locale. Ma le cose si mettono male, gli accordi con un'altra 'ndrina falliscono e per la famiglia si apparecchia un'autentica tragedia.
Al suo terzo lungometraggio dopo Saimir e Il resto della notte, Francesco Munzi insiste sul tema dell'immigrazione. Non più quella che arriva in Italia dall'Est europeo, bensì quella interna, che ha portato qualcuno a fare fortuna in maniera illegale trasferendosi dal Sud del paese alla ricca Lombardia. Ma i legami con la terra natia rimangono inestirpabili, le relazioni claniche un vortice dal quale è impossibile distaccarsi e una vita normale all'insegna della legalità una semplice chimera. Non a caso questo film cupo e a tratti un po' freddo, tratto dall'omonimo libro di Ciriaco Giacchino, trova il suo perno nella figura dell'unico dei tre fratelli che è rimasto in Calabria, impermeabile al solletico dell'illegalità, mentre suo figlio morde il freno per seguire la strada dello zio. Attraverso questi personaggi, Munzi - che firma il suo film decisamente più bello - ancora una volta ci propone un saggio di antropologia nel quale emerge lo stridore tra le auto lussuosissime, le case orrendamente arredate in stile Luigi XIV e la squallore indicibile dell'habitat urbano e rurale che le accoglie, epitome della dialettica impossibile tra una cultura profondamente arcaica e le tentazioni della modernizzazione. È questo, congiuntamente alla totale subalternità della lingua italiana all'irrinunciabile vernacolo (il film è largamente sottotitolato), il segno tangibile dell'arretratezza e dell'incultura di un mondo che sembra destinato a restare intrinsecamente involuto e legato a interminabili faide.
Premio Francesco Pasinetti, premio Fondazione Mimmo Rotella (Luigi Musini) e premio Schermi di qualità - Carlo Mazzacurati alla 71. mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2014).

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