Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
Si erano perse le tracce di Francesco Munzi, da quando ebbe la ventura-sventura di essere nella selezione italiana di Cannes 2008. Nell’anno di Gomorra e Il divo, Il resto della notte veniva sì considerato assieme agli altri due un segno della rinascita del cinema italiano, ma la sua forza era sicuramente minore rispetto a quella di quei film seminali e fondamentali. E quindi finì in secondo piano e al botteghino passò inosservato.
Ironia della sorte, ecco che ritorna Gomorra a far da metro di paragone al suo terzo film. Lo possiamo dire? Se il Gomorra di Garrone resterà negli annali per ciò che ha rappresentato artisticamente, stilisticamente, culturalmente e socialmente nel primo decennio del duemila, questo Anime nere è il trionfo della narrazione pura che si impossessa di nuovo e finalmente del cinema “tematico”.
Beninteso, benché Munzi abbia un interesse sicuramente motivato nei confronti dell’analisi dell’ambiente ‘ndrangheta, la forza del suo film sta tutta nel ritorno a quella lontana espressione dello “spettacolo d’autore”. È un film d’autore, naturalmente, ma con una modulazione della tensione narrativa che rasenta il sublime per come evita accuratamente tempi morti o eccessivamente dilatati e coinvolge lo spettatore nonostante la totale assenza di epica del male.
Sin dal titolo il film rinuncia alla mitizzazione dei cattivi che, per esempio, un Romanzo criminale dichiara implicitamente dapprincipio: la totale assenza di innocenza di chiunque si affacci sullo schermo è fondamentale per cadere con goduria nelle maglie di questa storia senza speranza alcuna, appassionante per l’inequivocabile senso di discesa agli inferi raccontato con impetuoso avanzamento emotivo che lo conduce verso la devastante conclusione.
Più che ad un esempio di cinema di genere, siamo di fronte ad un noir che coniuga con felicità la lezione internazionale (specialmente da un punto di vista stilistico, con rimandi coppoliani, ed estetici, nella freddezza di un’immagine oscura che ha il sapore di un ideale e vero cinema europeo) con la nostra tradizione (da una parte il mondo che si muove tra gli arcaismi della terra e della superstizione e la modernità della criminalità internazionale: Munzi deve più di qualcosa a Francesco Rosi).
Grande film sull’impossibilità di staccarsi dai vincoli familiari, retto da un pessimismo verghiano di inesorabile crudeltà, illuminato dal buio e dominato dal rifiuto di un cinema moralista e buonista, Anime nere ha anche il merito di farci scoprire un attore straordinario come Fabrizio Ferracane, la cui interpretazione di Luciano è un capolavoro di febbrile misura ed annunciato sgomento.
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