Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA - CONCORSO
L'opera terza dell'ottimo regista Francesco Munzi (Saimir è uno degli esordi italiani migliori dell'ultimo ventennio e Il resto della notte è ad oggi per me il suo film migliore) è, a mio avviso, il più forte, dirompente e riuscito film tra gli italiani presentati alla Mostra di Venezia 2014.
In una triangolazione tra il mare livido di un porto olandese, una Milano di palazzi di vetro in costruzione che riflettono cieli oscuri e tenebrosi, ed una Calabria ancora più ombrosa, e non solo climaticamente, nonostante la naturale bellezza di una natura spesso incontaminata o che si riprende i suoi spazi tra le case diroccate di un paesino dell'Aspromonte (li dove Garibaldi fece uno dei suoi più clmorosi e rari passi falsi, come ricorda con nervoso sarcasmo la giovane leva della nostra famiglia protagonista), le vite di tre fratelli diversissimi tra loro, soprattutto caratterialmente, anime buie di un nero minaccioso che avvolge ogni circostanza o luogo che essi calpestino, sono destinate ad incrociarsi e a macchiarsi di sangue in una faida di vendette che non lascia posto alla tregua, al perdono, alla rassegnazione di una resa.
Luciano è il più anziano, fa il veterinario nel paese natio, e vive con l'illusione di potersi dedicare alla natura che ama più di ogni altra cosa, lasciando da parte tutte le beghe e le faide che hanno coinvolto la sua famiglia, culminate nella disgrazia più truculenta quando il padre fu “ucciso come un cane” per la strada da ignoti, o presunti tali, un ventennio prima; Rocco ha fatto carriera a Milano, sposato una bellissima donna e fa l'impresario edile di successo, non certo senza aiuti o connivenze con organizzazioni o poteri al di fuori della legge. Luigi invece, il più giovane, è un vero e proprio gangster: un trafficante di droga brillante e amante della bella vita, che naturalmente attrae su di sé l'interesse di suo nipote ventenne, figlio ribelle e rancoroso del fratello maggiore, onesto e saggio.
Per una banale bravata di quest'ultimo giovane ai danni di un bar protetto dal clan avverso a quello della famiglia, e probabilmente lo stesso responsabile decenni prima della morte del capostipite, si accende una miccia che sembra innocua, ma che finisce per appiccare un incendio di proporzioni letali ed incontrollate: un circuito vizioso che attira a sé tutti e tre i fratelli in un bagno di sangue senza fine.
Anime Nere è un western crepuscolare calabrese di rara efficacia e tensione, che sembrerebbe sopra le righe e volutamente calcato al nero quasi forzato e caricaturale, non conoscessimo anche solo sommariamente le cronache che puntualmente scandiscono le storie di criminalità in quelle zone. Munzi gira benissimo, prepara le azioni e le cela astutamente nel culmine dell'azione per rivelarne poi poco dopo le definitive e letali, dolorose conseguenze. Violenza che genera violenza: la storia dell'uomo da quando esiste è fatta di vendette e soprusi: la storia insegna molto a chi sa valutarla, ma nessuno è disposto in fondo a impararne la lezione, amara e tardima, ma pur sempre preziosa e salvifica.
Attori bravissimi e pertinenti contribuiscono alla perfetta riuscita di questo ottimo film: Leonardi, Pezzotta, Ferracane, tre fratelli che più diversi non si potrebbe, ma così credibili quando si guardano negli occhi, velati di lacrime, di rabbia sopita a stento, di odio nella consapevolezza di trovarsi in mezzo ad una guerra che non avrà mai fine: una sofferenza tuttavia trattenuta, che non accenna mai ad un pianto vero e proprio.
E ancora Barbora Bobulova, nel fantastico confronto tra due tipologie di donne, tra nord e sud inconciliabili definitivamente, con le donne del sud magicamente rese dall'anziana Aurora Quattrocchi e dalla nuora dignitosa e ritrosa Anna Ferruzzo, figure arroccate negli anfratti di un dolore lancnante che tuttavia non giustifica cedimenti e confessioni, né tantomeno rivelazioni alle autorità.
Amicizie forti e legami di sangue, faide, ma anche tradimento: per paura, per passare al clan più potente e assicurarsi la sopravvivenza, in un paese dove le capre si uccidono in qualche secondo con una pugnalata alla gola, ed i cristiani molto più rapidamente con un colpo di lupara sul volto. Un Far West di connivenza e di giustizia sommaria che non possono risolversi se non con una carneficina.
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