Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Stratosferico e cattivissimo dramma di Billy Wilder.
Profetico, naturalmente; tanto grottesco quanto grottescamente iperrealistico, indubbiamente. A rilevare l’immisurabile portato antropologico de L’asso nella manica si peccherebbe in originalità, per quanto esso è squillante e cristallino. Per cui val più la pena di porre l’accento su qualche sequenza di questo straordinario film. Tre momenti: il primo, l’arrivo dei primi due curiosi, marito e moglie, sul luogo dell’incidente capitato a Leo, la caduta della volta di una caverna che lo ha lasciato intrappolato. Il cinico reporter Tatum li chiama “Mr. e Mrs. America”, espressioni di un’America che al gran completo plana rapace sull’incidente, lo estrae dalla mediocrità e dall’anonimato della sfera privata, lo trasforma e lo deforma in fatto, in storia. Il signore e la signora America sono Adamo ed Eva: progenitori della folla che prolifererà rapidamente nel seguito, sono sufficienti essi soli perché la tragedia diventi spettacolo. Il secondo momento: Leo chiede al giornalista chi siano tutte queste persone che si stanno ammassando, e Tatum risponde “Sono tuoi amici”. E ancora, la terza immagine: un menestrello che strimpella “Stiamo arrivando, stiamo arrivando, Leo, e molto presto apriremo un varco”. Credo che l’uso del “noi”, da parte di questa fantomatica e sterminata legione di "amici", sia illuminante. La folla, oltreché spettatrice si fa attrice del dramma, se non addirittura primadonna: con i suoi palpiti, la sua solidarietà nient’affatto discreta e anzi gridata ai quattro venti, i suoi sospiri d’affanno, i suoi fiati sospesi, la moltitudine rivendica un ruolo attivo nella vicenda. Leo viene spersonalizzato, metaforizzato, elevato a simbolo di un’America che lotta e ha lottato, in guerra, e allo stesso tempo declassato a comprimario la cui salvezza o resa non è in fondo così necessaria ai fini della storia. Ciò che più conta, ormai, è il titolo sul giornale, il capitoletto nel volume di storia contemporanea, il fatto divenuto proprietà del pubblico, fino a rendere il simbolo e la persona due entità separate: il simbolo, cibo per le masse, e l'uomo, quasi un accidente superfluo. Leo non è più una persona, è un fatto. Appena il fatto si conclude, con l’inevitabile sacrificio dell’agnello, la sterminata massa di amici se la dà istantaneamente a gambe: non c’è una persona da piangere, perché non è mai esistita una persona. Non è un caso che il gran cerimoniere della macabra recita sia poi l’unico personaggio che realmente si emendi dalle incalcolabili nefandezze compiute. Tatum è ammaestratore della folla, ne ha esplorato le viscere più profonde, ne fiuta i fermenti più torbidi, ma proprio per questo la disprezza. E ancora meno casualmente Tatum è la sola altra vittima del film oltre allo sfortunato Leo: vittima lo è stato fin dall’inizio, perché costretto a essere spietato non per natura, non per volontà, ma per necessità. Ammaestratore della folla, ma di essa pure succube e capro espiatorio.
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