Regia di Doug Ellin vedi scheda film
La conclusione sul grande schermo di una serie tv non è mai una grande idea. Specie se parliamo di una comedy politicamente scorretta, in pieno stile HBO, che ha fatto dei gag scurrili, dei dialoghi al fulmicotone e delle situazioni grottesche i propri marchi di fabbrica, ma che mai si è animata di un respiro vagamente cinematografico. No, non stiamo parlando di Sex and the City. Cult per alcuni, intrattenimento svogliato per altri, satira troppo volgare di Hollywood per i più seriosi, Entourage ha raggiunto per otto stagioni tutti i suoi obiettivi, fallendo solo sulla linea del traguardo per un probabile improvviso blocco dello scrittore del gruppo degli sceneggiatori. Il divo dal passato proletario Vincent Chase, i suoi tre amici di sempre e il suo sboccato agente Ari Gold ponevano infatti fine a una vita di eccessi sposandosi distrattamente. Il film salta avanti di qualche mese ribaltando la situazione, come ad ammettere il fallimento, e rinvigorisce il verbo comico con la trovata (assai esile) del nuovo vizietto di Vincent: la regia. La sua volontà di dirigere un blockbuster negli studi affidati ad Ari, finanziato da imprenditori texani diversamente cinefili, attiva una serie di situazioni estreme, dove domina il già visto, con il minutaggio che penalizza il ritmo degli interpreti, e con il doppiaggio a rendere faticosi la visione e il divertimento. Almeno per chi ha seguito per otto anni le scorribande sopra le righe della serie in versione originale.
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