Regia di François Truffaut vedi scheda film
Un surrealismo alla Magritte fa da sfondo a questa storia hitchcockiana di delitti perfetti e apparentemente senza movente, in cui il cinismo della commedia alla francese è un elemento di indiscutibile fascino. La crudeltà vendicatrice di Julie Kohler è un’elevata forma di passione, nobilitata dalla potenza cristallina di un dolore assoluto, ed impreziosita da una cura del particolare in cui fantasia artistica e scrupolo scientifico si uniscono per dare vita ad un’estetica geniale e raffinata. La diabolica sposa in nero colpisce le sue vittime sfruttando al meglio le loro debolezze di maschi, i loro istinti predatori che li condannano ad essere circuìti, sottomessi e infine uccisi. Ognuno di loro crede troppo in se stesso, nelle proprie doti, nei propri ideali e questo, nell’universo di Truffaut, è, come ben sappiamo, un atteggiamento da perdenti. L’eccessiva sicurezza induce infatti l’individuo ad esporsi oltremisura, mentre la mania lo rende fragile e prevedibile, e quindi indifeso di fronte ai dispetti del caso e ai tranelli dei nemici. È troppo facile giocare con gli uomini tutti d’un pezzo, che si reputano inattaccabili, e quindi percorrono la vita in linea retta, senza curarsi degli ostacoli presenti sul cammino o delle insidie provenienti dalle strade laterali. La multiforme femminilità della protagonista – che attraversa tutti i volti della seduzione, dall’irraggiungibile eleganza di una dama al servilismo di una prigioniera-sguattera – offre a ciascuno il boccone avvelenato che gli si confà, dimostrando, ancora una volta che, se è vero che il mondo è bello perché è vario, forse è proprio nella sua incoerente varietà che si cela il motivo per cui tutto tende fatalmente ad andare storto.
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