Regia di Patrizio Gioffredi vedi scheda film
Lo dicono tutti e molto spesso ci azzeccano: l’opera seconda è sempre la più ostica per chi, al debutto, ha stupito favorevolmente. Avevamo lasciato i ragazzacci pratesi del collettivo Snellinberg alle prese con inseguimenti ed estremizzazioni grottesche del poliziottesco in La banda del brasiliano, li ritroviamo in una commedia in due episodi dal respiro corto. Dopo aver lanciato una bomba nel cinema di genere per scardinarlo e riaffermarlo parodicamente, si adeguano supini a ciò che il (nuovo) genere impone, perfezionando a tavolino l’aspetto tecnico a discapito di quella veracità anarchica che tanto aveva colpito all’esordio. I Calibro 35 continuano a suonare - e bene - mentre vanno in scena le storie di un Giulio italiano e uno cinese, entrambi spiantati e alla ricerca di qualcosa in cui credere. Il disagio dei trentenni, la difficoltà a trovare una posizione nel mondo, l’incertezza della prima generazione messa peggio dei padri («che hanno fatto il 1968, nun s’o scordamo!»), in cui i preti spostano il catechismo per giocare al fantacalcio e i vecchi continuano a smazzare furiosamente al bar. Se il primo episodio - con il Giulio italiano al cospetto della disoccupazione e di una crisi di fede - è un buco nell’acqua, nel secondo Colangeli e Monni recuperano i toni «sempre sopra le righe» del Collettivo a suon di partite a scopa. Tornano, sebbene troppo tardi, le macchiette e le situazioni grottesche, condite da un finale commovente e più realista del re, con Monni che gioca a carte nell’aldilà: in fondo, l’abbiamo sempre immaginato così.
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