Regia di Marie-Castille Mention Schaar vedi scheda film
La storia è vera, qualche concessione all’abbellimento romanzesco e un pizzico di approssimazione nel tratteggio dei personaggi e nel percorso evolutivo della classe protagonista si perdona, non sono le ragioni dell’arte che s’impongono in questo film, c’è altro.
Una volta nella vita (2014): locandina
Proviamo a far seguire alle parole di Primo Levi quelle di un giovane che vive oggi, settanta anni dopo i noti fatti:
Parole-chiave (conoscere, comprendere, necessario, impossibile, possibile) per una visione fuor di retorica di Les héritiérs, gli eredi, opera del 2014 di Marie-Castille Mention Schaar, che arriva nelle nostre sale sull’onda della Giornata della Memoria.
La storia è vera, qualche concessione all’abbellimento romanzesco e un pizzico di approssimazione nel tratteggio dei personaggi e nel percorso evolutivo della classe protagonista si perdona, non sono le ragioni dell’arte che s’impongono in questo film, c’è altro.
Se manca infatti una rigorosa costruzione formale da un lato, c’è dall’altro un’espressione emotivamente assai intensa, focalizzata con forza sul tema della diversità, che ne fa un buon argomento a favore della possibilità di essere civili, cioè cittadini legati da un patto sociale.
La Shoah è il nocciolo duro del film, intorno ad essa si coagula la possibilità di diventare diversi per accettare il diverso, e così, ancora una volta, quel massacro ha offerto il propellente per declinare nella contemporaneità valori chiave per dirsi civili.
Incurante infatti di ogni tentativo di revisionismo, negazionismo, rigurgiti razzisti di ogni ordine e grado, sofismi del genere “sì... ma… oggi gli Ebrei… ” molto politically correct, la Shoah, piaccia o no, è assurta al rango di categoria dello spirito, spartiacque dell’essere o no umani, come l’idea di democrazia, che nacque in Atene e che la simpatica prof di storia dell'arte ed educazione civica del film fa bene a richiamare fin dall’inizio.
Una volta nella vita (2014): scena
Ma cosa succede a questi “eredi”?
Vivono a Creteil, grosso comune cosmopolita dell’ Île-de-France, frequentano il liceo multietnico Léon Blum della città e si preparano a diventare discretamente sbandati, demotivati e ignoranti, cioè normalmente integrati nella media dell’ internazionale dello “smartphone 24 ore su 24”.
Di varie etnie e colori, rumoreggiano, fanno i bulletti con le ragazze (i maschi), si conciano da donne evolute e strafottenti (le femmine), litigano per il cellulare, adottano la morale del branco ad ogni occasione buona e indolore (tipo la supplente che non riesce a tenere la classe e quasi piange).
In definitiva niente di nuovo, non siamo a Secondigliano o allo Zen di Palermo, non siamo neppure nel terzo mondo, sono ragazzi di liceo, dunque il disagio (perché di quello si tratta) è solo il derivato di una perdita.
Di cosa? Di valori.
Una volta nella vita (2014): Ariane Ascaride
La prof decide di tentare il recupero e a questa classe, famosa nella scuola per indisciplina e cafoneria, offre di partecipare ad un concorso.
Si tratta del Concours national de la résistance et de la déportation istituito in Francia nel 1961.
Il tema dell'anno scolastico 2008/2009 fu: “I bambini e gli adolescenti nel sistema concentrazionario nazista” e questa classe vinse il primo premio.
Se, come affermava Joyce, “La storia è un incubo da cui vorremmo risvegliarci”, il problema allora è tentare il risveglio.
La prof è riuscita, con mezzi scarsissimi, senza bisogno di rinnovare i fasti di Jeanne d’Arc, credendo in loro, dice, più di quanto loro credano in sé stessi.
Il film è ricco di bei momenti, intenso, con belle pennellate espressioniste, e anche se a volte procede come su un terreno sassoso con le ruote sgonfie, sa regalare momenti di vera commozione. E’ quando i ragazzi guardano le foto dei morti che tappezzano la stanza vuota del Memorial e sono come inghiottiti in un vortice d’incubo (stesso effetto, a Sarajevo, il ricordo dei morti di Srebrenica a vent’anni dalla strage, affidato a tante piccole istantanee che tappezzano le quattro pareti di una stanza), o quando arriva al Liceo il sopravvissuto dei campi Léon Zyguel, un uomo affaticato, che cammina a stento, ma è felice di essere lì nel suo ininterrotto impegno di testimone.
Quando uno dei ragazzi gli chiede: “A cosa si aggrappava per resistere?” risponde con il garbo sorridente di uno spirito rimasto giovane: “Avevo quindici anni, non pensavo che sarei morto, pensavo che un giorno, tornato nel mio paese, avrei fatto un figurone fra gli amici, avrebbero detto di me “Guarda che figo!”.
Léon legge ai ragazzi il “giuramento di Buchenwald” pronunciato il 19 aprile del ’45 dai sopravvissuti sulla piazza del campo all’arrivo degli Alleati, e sarà quello che un’alunna leggerà durante la cerimonia della premiazione
“… in ogni luogo e in ogni tempo, combatteremo con tutte le nostre forze qualunque forma di nazifascismo, sempre. Noi non abbandoneremo la lotta finchè l’ultimo colpevole sia stato giudicato dal tribunale di tutte le nazioni”.
Dice Ariane Ascaride, la protagonista: “ Dopo le riprese, Léon Ziguel ha detto a quei ragazzi -Vi ringrazio dell'energia che mi avete regalato e vi chiedo una cosa sola. Non dite mai sporco ebreo, sporco negro, sporco arabo, altrimenti tutto quello che io ho vissuto non sarà servito a niente- e in quel momento ho visto lacrime scorrere su molte guance e ho capito che ce l'aveva fatta”.
Uno dei ragazzi, nel film è Malik, è Ahmed Dramé, che ha collaborato alla scrittura della sceneggiatura, recita nel film e lavora nel cinema, il suo sogno di sempre.
Quel ragazzo, come tutti gli altri alunni della classe, ha avuto la vita trasformata dall’esperienza di conoscenza vissuta quell’anno.
Racconta la regista: “Ahmed mi ha contattata via mail chiedendomi semplicemente se ero disposta a leggere una bozza di sceneggiatura di 60 pagine che aveva scritto. Ero molto commossa dal percorso di quel giovane che sembrava non subire il disfattismo imperante e l'immobilismo apatico così frequente nell'adolescenza. Il film è nato così”.
Conoscere, dunque, per cambiare e comprendere. Non per giustificare, solo per dotarsi di un giudizio critico che neutralizzi odio, stereotipi e mistificazioni.
Quei ragazzi, ebrei, musulmani, cristiani, buddhisti e agnostici sono riusciti a farlo.
In alternativa resta valido quello che dice Esther, (HEIMAT 2 - cap11. L’epoca del silenzio (Die Zeit des Schweigens) in visita a Dachau sulle tracce della memoria della madre:
“… le sue tracce si sono perse, come le tracce di tutte quelle persone che qui sono state torturate e uccise senza pietà. Non si vede né si sente più niente.Tutto è così pulito e ordinato. Lì c’è una corona deposta da un politico ipocrita per rimettersi la coscienza a posto e tutto questo è già stato fotografato migliaia di volte. E’ come se li sentissi quelli che si sono mossi qui in coda e hanno scattato, una dopo l’altra, le loro belle foto, come i cani che alzano la zampa perché un altro ha già pisciato lì …. tutto ciò che vedo in questo paese mi nasconde qualcosa ... la Germania è un libro dalle pagine strappate”.
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Ma che bella recensione, complimenti davvero . Il papà di Elena ( 5° liceo) non mancherà di proporle anche questo film dopo averla portata l'altro ieri a vedere "Il Figlio di Saul". Un gran saluto.
Paolo ( papà di Elena:-).
E complimenti a Elena che ascolta i consigli del suo bravo padre. Grazie Paolo/pippus, una cosa che amo sempre ricordare è che il mio amore per il cinema cominciò quel giorno lontano in cui mio padre mi portò a vedere La strada, credo sia stato il primo film che ho visto. Dunque auguri, la strada è quella buona! Yume/Paola
Allora complimenti anche al papà di Paola, artefice dei bei ricordi che quest'ultima custodisce. Cercherò di emularlo.
Bellissima,ero sicura che lo avresti recensito ,io ho lttato con impegni vari e quando stavo per andare mi è venuta l'influenza,sto sperando che lo tengano ancora ,oltretutto in in un cinema freddissimo...Meno male che stai tornando a visitarci!ciao.
Consigliato dal nostro marco bi, stavo per perderlo anch'io e, guarda che coincidenza, anche il mio cinema era freddo che Zeus li fulmini, non c'è cosa peggiore che vedere un film al freddo! Auguri di guarigione veloce :)
E' un'opera che ha davvero dalla sua la forza del contenuto. In questa storia tutto è prevedibile, ma funziona (eccome se funziona!). La regista è ben coadiuvata da una sceneggiatura che ha trovato il giusto equilibrio fra la parola e il silenzio e soprattutto dalla bella prova della sua protagonista, una Ariane Ascaride qui davvero al meglio delle sue capacità interpretative che nell'accompagnare quei ragazzi alla scoperta della coscienza civile si lascia guidare dalla discrezione e dal ritegno. Si perdonano così alcuni piccoli clichè (li potremmo etichettare come "scorciatoie narrative?)che il film utilizza per mostrare il cambiamento di alcuni studenti (primo fra tutti quello della ragazza ribelle che attraverso Simone Veil (ri)scopre il fervore civile.). Uno dei momenti più toccanti ed emozionanti che crea un forte concentrazione emotiva, è proprio quello in cui Leon Zyguel, sopravvissuto ai campi di concentramento (e che ci ha lasciato proprio di recente e c i regala dunque qui la sua ultima testimonianza in diretta), racconta ai ragazzi l'esperienza della guerra e dei campi di sterminio attraverso il suo vissuto.
Si Valerio, chiamiamole "scorciatoie narrative", questo film merita per ben altro. La presenza di Simone Veil insieme a quella di Zyguel danno al film il valore di documento che lo pone più in alto. Sì, è stata la sua ultima testimonianza ed è il regalo per tutti noi che abbiamo il privilegio di ascoltarla. Indimenticabile quando si siede e con un po' di fiatone dice che è emozionato.
Mi risulta che il film abbia avuto un buon successo in Francia,un buon segnale dopo gli attentati di Charlie Hebdo.La brava Ascaride interpreta la professoressa in modo davvero intenso e mai buonista,accettando tutte le provocazioni dei ragazzi con immensa pazienza.Io l'attrice l'ho molto apprezzata nei film del marito Robert Guediguian,non mi sorprende la sua bravura.....grazie del tuo commento....letto appena dopo la visione del film.
Grazie a te Ezio, mi fa piacere che il film abbia avuto successo in Francia, lo merita, non capisco perché da noi sia stato quasi ignorato
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